Regia di William Friedkin vedi scheda film
Cadendo qua e là in piccole pozze retoriche, praticamente ineludibili nei film sportivi, il film di Friedkin piazza pesantemente la mano sulla fine del sogno. Tutto ciò che c'era di bello e di umano nello sport, lo abbiamo rovinato con l'affarismo, con la foto in prima pagina, con l'assidua presenza nei notiziari. Dobbiamo far parlare di noi, dobbiamo esserci . E fa niente se siamo del "Grande Fratello", o della "Vita in Diretta"; fa niente se siamo serial-killer messi in piazza dalle tv di mezzo mondo, o politici vanitosi che dettano la loro visione del mondo. Fa niente, basta esserci. Basta vincere...
Anche la regia ha una sua direzione. Molto televisiva, da dossier tipo "programma sul vecchio campione che se ne va". Ma sa anche suscitare commozione quando accenna a momenti intimisti tra il coach e se stesso. Nick Nolte, che è uno dei più grandi attori dalla faccia giusta e dallo spirito contro, è l'arma vincente del sempre-discusso Friedkin per raccontare la parobala umanamente tragica e disarmante di una storia vera dello sport di oggi. Un Nick Nolte shakesperiano, in lotta con se stesso e con il dubbio di cui è forma. Bravissimo, e mai premiato.
Un film dai toni più leggeri del solito William Friedkin, ma ugualmente violento nelle sue accuse. In questo caso, quelle di un campo da basket che perde sogni, innocenza e umanità in nome dell'arrivismo, della potenza e del predominio. E se quel campo da basket fosse l'America?
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta