Trama
In seguito all'omicidio di un professore universitario in un agguato terrorista, Marco (Giuseppe Battiston) – ex-militante di estrema sinistra condannato all'ergastolo e rifugiato in Francia grazie alla dottrina Mitterrand – è accusato dallo Stato italiano di essere uno dei 'cervelli' dell'attentato e ne è chiesta l'estradizione. Ha inizio, così, la lunga fuga di Marco, assieme a sua figlia Viola (Charlotte Cetaire), che si trasforma ben presto in una guerra mediatica fatta di lettere e interviste. L'arroganza di Marco, che lo porta a difendersi a ogni costo, trascinerà nel fango tutta la sua famiglia rimasta in Italia – sua sorella Anna (Barbora Boboulova), professoressa di italiano in un liceo “bene” bolognese, il cognato Riccardo (Fabrizio Ferracane), giudice penale in ascesa, Bianca (Carolina Lanzoni), la loro figlia di 10 anni e la madre Teresa (Elisabetta Piccolomini). Tutti, innocenti, si ritroveranno a pagare per le colpe passate di Marco senza capirne il perché.
Approfondimento
DOPO LA GUERRA: LE CONSEGUENZE DEGLI ANNI DI PIOMBO
Diretto da Annarita Zambrano e sceneggiato dalla stessa con Delphine Agut, Dopo la guerra è ambientato nel 2002 e racconta come a Bologna l'opposizione alla legge sul lavoro raggiunga il suo apice nelle università. L'omicidio di un giudice riapre allora vecchie ferite politiche ancora aperte tra l'Italia e la Francia. Marco, ex attivista dell'estrema sinistra condannato per omicidio e in esilio in Francia da oltre vent'anni grazie alla "dottrina Mitterand", è accusato di aver ordinato l'attentato. Il governo italiano ne chiede di conseguenza l'estradizione. Costretto a fuggire con Viola, la figlia sedicenne, Marco vedrà la sua vita cambierà per sempre mentre la sua famiglia in Italia sarà costretta a confrontarsi con le conseguenze dei suoi errori passati.
Con la direzione della fotografia di Laurent Brunet, le scenografie di Paul Chapelle e Maria Teresa Padula, i costumi di Séverine Cales e Ursula Patzak, e le musiche originali composte da Grégoire Hetzel, Dopo la guerra viene così presentato dalla regista, alla sua opera prima: "Sono nata in Italian nel 1972 ma vivo in Francia da circa vent'anni. Sono sempre stata un'amante del cinema. Ho scritto una tesi a Roma chiamata Arti e politiche degli autori, su Truffaut sia da appassionata dei suoi film sia da amante dei suoi articoli di critica cinematografica. A un certo punto, il mio professore, il rinomato critico italiano Lino Miccichè, mi ha detto che avrei dovuto continuare i miei studi in Francia e prendere lì un dottorato. Poi, ho cominciato a insegnare estetica cinematografica. Nel 2006 ho diretto il mio primo lungometraggio. Ero terrorizzata al primo ciak: pensavo di non sapere niente di tecnica, sebbene conoscessi a memoria tutte le scene di Antonioni e Visconti.
Con Dopo la guerra, volevo realizzare un film che parlasse dei miei due Paesi, l'Italia e la Francia. Volevo che la storia riguardasse, politicamente e moralmente, entrambe le nazioni. Ho una profonda connessione personale con la storia che ho scelto di raccontare. La mia generazione è figlia dei danni collaterali di un certo terrorismo. Dal 1969 al 1988, il terrorismo rosso e nero ha provocato oltre 400 vittime e 15 mila attentati in Italia. Quella violenza quotidiana ha lasciato un segno profondo nella mia infanzia e adolescenza, come in quelle dei miei amici. Era diventato normale sentire parlare di attentati, facevano ormai parte delle nostre vite, anche se eravamo troppo giovani per capire. Quei tempi così difficili hanno avuto echi anche negli anni Novanta. Avevo 18 anni e sentivo di vivere in un momento in cui, a causa degli anni di piombo, tutto per me era stato deciso da altri. Dopo quel periodo, la gente ha avuto una sorta di rifiuto dell'impegno politico. C'è stato il trionfo dell'edonismo, della corruzione e poi del berlusconismo.
Il mio primo film doveva dunque aiutarmi a risolvere i conti in sospeso che io stessa avevo con l'Italia e ad affrontare in maniera diretta il tema della giustizia attraverso una storia che si interroga sulla colpa, sul come si trasmette da un Paese all'altro, da una generazione all'altra, da un padre ai figli. Ora, mi rendo conto che Dopo la guerra non è un film puro sulla giustizia ma è piuttosto un'opera sull'impossibilità di capire la giustizia e gli errori che gli uomini commettono quando sono accecati da ciò che ritengono giusto o ingiusto.
Dopo la guerra è ambientato nel 2002, un po' di tempo dopo la fine degli anni di piombo. L'Italia affrontava ancora ferite lasciate aperte dalla cosiddetta dottrina Mitterand, che permetteva di non estradare gli ex terroristi politici che trovavano accoglienza in Francia. Le stime ufficiali raccontano di 300 persone accolte Oltralpe ma in molti sono pronti a giurare che sono stati almeno il doppio coloro che hanno varcato il confine facendo della Francia un rifugio di ex terroristi. Nel 2002, l'omicidio di Marco Biagi (che ha ispirato l'inizio del film) ha portato con sé alcuni cambiamenti. Biagi era un giuslavorista ma, soprattutto, sotto il governo di Berlusconi aveva ricevuto il compito di fare da consulente per una legge ispirata a una maggiore flessibilità dei contratti di lavoro. Tale incarico gli è costato la vita per mano delle Nuove BR. L'omicidio ha spinto allora il governo italiano a chiedere l'estradizione degli attivisti in esilio, dando inizio a una sorta di caccia. Il Corriere della Sera, uno dei maggiori quotidiani italiani, ha anche pubblicato in prima pagina i nomi e le foto di coloro che si erano rifatti una vita in Francia. Tra costoro, vi era anche Paolo Persichetti, colui che segnerà de facto l'abrogazione della dottrina Mitterand. Insegnante di scienze politiche alla VIII Università di Parigi, Persichetti è stato estradato in Italia nell'estate del 2002 per scontare una condanna di 22 anni in carcere. A lui, si ispira sicuramente il personaggio di Marco Lamberti, sebbene Lamberti e Persichetti abbiano personalità molto differenti".
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Commenti (2) vedi tutti
Ottimo esordio alla regia di Zambrano. Opera interessante e ben recitata.
leggi la recensione completa di Furetto60L'ennesimo film sul terrorismo Anni 70: piatto e noioso, con una sceneggiatura che fa acqua e non riesce a farci appassionare alle vicende dei personaggi, e con un finale pretestuoso e sforzato che sfugge alla responsabilità di trovare una soluzione alla questione sollevata. Il peggiore tra i film italiani visti al Festival di Cannes 2017.
leggi la recensione completa di port cros