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Mektoub, My Love: Canto Uno

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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La recensione su Mektoub, My Love: Canto Uno

di Furetto60
7 stelle

Film decisamente originale. Molto lungo, Dal ritmo volutamente lento, ma carico di forti suggestioni erotiche, dove ciò che conta di più sono le immagini, che catturano i corpi e gli sguardi.

Siamo nel 1994. Il giovane Amin, ha vent’anni e ha interrotto gli studi di medicina, per dedicarsi alle sue passioni: la fotografia e le sceneggiature.Dunque lascia Parigi, abbandonando l’università, forse definitivamente, per trascorrere l’estate nella città natia,Setè, sita nella costa meridionale della Francia, un piccolo ma incantevole villaggio di pescatori.Occasione per ritrovare la famiglia e gli amici. Accompagnato da suo cugino Tony e dalla sua migliore amica Ophélie, Amin si trastulla, trascorrendo il tempo tra il ristorante tunisino dei genitori, i bar del quartiere e la spiaggia frequentata dalle ragazze in vacanza. Incantato dalle curvilinee e opulente forme delle figure femminili che lo circondano, Amin resta come rapito e soggiogato da quest’atmosfera di festa perpetua che si respira,in un clima di leggerezza costante. Il gusto di essere e di sentirsi giovani d’estate al mare, con gli amici di una vita, a giocare in spiaggia. Tra risate, chiacchiere al bar, balli in discoteca, baci e qualche palpatina. Una storia struggente che parla di desiderio, sulla nostalgia del desiderio, Quando Amin giunge, c’è un sole abbagliante, A Parigi “è tutto in bianco e nero”. Il film si apre con due citazioni significative e direi abbastanza lontane dallo spirito di un film dal tratto decisamente trasgressivo e materiale, provenienti dal Vangelo di Giovanni e dal Corano: “Dio è la luce del mondo”, “Luce su luce, Dio guida verso la luce chi vuole Lui” .“Mektoub ”la prima parola del titolo è araba e significa destino, predestinazione e già qui si può capire il senso del racconto,  una soggettiva lunghissima sull’amore, come passione, sensualità, sospensione, frustrazione, anche ossessione, ma soprattutto nostalgia, poi c’è la parola love, dunque mektoub il mio amore, Poi sempre nel titolo due punti Canto Uno, ad inquadrarne la dimensione a suo modo epica e solenne. Abdellatif Kechi, il regista ispirandosi molto alla lontana ad un romanzo “La ferita, quella vera” di François Bégaudeau, pone da subito la telecamera sul viso del protagonista, e non se ne stacca quasi mai, lo segue quando si aggira curioso, all’interno della comunità franco-tunisina, sempre sorridente, ma al contempo impacciato e silenzioso. La scena di sesso esplicito e spinto, nei primi minuti del film, ripresa con tecniche “hard” ci fa subito intuire dove il regista intende porre lo sguardo, che si regola su quello del protagonista, Amin, che guarda dalla finestra il bollente rapporto sessuale che si consuma fra il cugino Tony e la sua migliore amica Ophélie, Kechiche gira con una messa in scena dichiaratamente voyeuristica ,probabilmente autobiografica, raccontando i propri desideri e le proprie ossessioni erotiche. Film di sguardo. Sguardo sui corpi, ma soprattutto sulle rotondità posteriori delle sinuose ragazze, che danzano sensualmente, nel loro incanto magnetico. Sguardo sui volti di una gioventù gaudente. Eppure, dopo l’inizio esplicito, la tensione erotica, pur non scemando, non sarà più esternata, ma solo suggerita. Perché oltre alla celebrazione del corpo in particolare di quello femminile, c’è al contempo la rinuncia a toccarlo e a possederlo Amin è un personaggio fondamentalmente passivo, si muove fra e nelle situazioni, ma restandone fuori, cioè senza farne parte, diverso da tutti gli altri, dagli amici spavaldi, al cugino Tony, seduttore incallito ed esperto, Amin si limita ad osservare, a desiderare da lontano. Data la sua incapacità ad agire, porta con sé il senso nostalgico e doloroso delle occasioni perdute, della frustrazione di non riuscire ad entrare nel vivo delle cose. Subisce tutto ciò che succede intorno, in sostanza molto poco, rimane in silenzio di fronte ai discorsi degli altri e, soprattutto, aspetta. La sua staticità genera due effetti, da una parte esprime una forte tensione erotica, dall’altra contribuisce a rendere il ritmo del film molto lento. Infatti, insieme ad una lunghezza insolitamente eccessiva, c’è anche un ritmo blando, in una narrazione che sembra arenarsi continuamente e non procedere mai, si ferma e si dilata in scene lunghissime. Scene esteticamente suggestive e cariche di “malizia”, ma protratte così tanto dal ristagnare, con dialoghi fini a se stessi, che sembrano non portare da nessuna parte. In pratica al di là di questi movimenti “libidinosi” non accade niente La visione è a tratti decisamente estenuante, anche se questo è funzionale alla narrazione, perché non fa altro che rispecchiare il carattere del protagonista, che non riesce mai ad agire e che osserva il mondo in perpetua attesa.

Leggo recensioni e critiche che inneggiano al capolavoro, non appartengo a questa nutrita schiera, pur apprezzando il lavoro di questo estroso regista.

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