Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
Nella sterminata e preziosa filmografia di Rohmer L'albero, il sindaco e la mediateca costituisce una parentesi eccezionale, mai prima, infatti, il Maestro francese aveva accostato le atmosfere ed i toni della commedia alle dinamiche della politica. Ci si avventura, qui, con la consueta grazia ed arguzia, nelle dispute tra Julien (Pascal Greggory), sindaco socialista di Saint-Juire-Champgillon, borgo della Vandea, che, per far erigere una mediateca in un parco, delibera l'abbattimento di un albero secolare, e Marc (Fabrice Luchini), maestro elementare dall'animo ecologista, che si batte per impedirlo. Nel mezzo, i giochi del potere, l'asprezza dei dibattiti politici da tribuna televisiva, le logiche dell'opportunismo e, come sempre nel cinema di Rohmer, l'ineluttabile presenza del Caso a governare gli eventi: il film, infatti, prende le mosse dalla lezione scolastica del maestro Marc, in cui spiega ad i suoi alunni il corretto significato ed utilizzo della parola "se". Per questo motivo Rohmer si rifiuta di prendere posizione e schierarsi: non è necessario, ci dice con garbo, perchè a seconda della direzione del Caso mutano le sfumature e si stravolgono gli eventi. Qui sta il suo interesse, qui punta l'indice della sua analisi: nel potere dello sguardo di osservare gli orientamenti del Caso ed i capricci del Destino. Anche quando l'argomento è la politica. Strutturato in capitoli, animato da dialoghi sterminati a cui Rohmer non pone alcun freno (e peccato per il doppiaggio italiano, penalizzante nell'andamento monocorde dei discorsi), il film non è, comunque, tra i più vivaci del suo autore, ma conserva ugualmente la leggerezza e l'essenzialità drammaturgica delle sue commedie più felici. Probabilmente l'attualità sociale dei temi affrontati, scandagliati con sottile ironia, finisce, a lungo andare, per banalizzare qualche spunto e frenare la vitalità dell'insieme, senza intaccare, però, la raffinatezza e l'armonia della messinscena, in cui la macchina da presa si limita ad osservare gli eventi senza sottolineare nulla (inquadrature fisse, senza primi piani), ben governata nella fotografia dell'esordiente Diane Baratier, che seguirà Rohmer in tutti i suoi film successivi. Un'opera, nonostante le apparenze, tutt'altro che semplice.
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