Regia di Jordan Peele vedi scheda film
La "minoranza" wasp mantenendo la posizione in attesa dell'estinzione supposta s'innesta con paternalismo schiavista nell'orda nera in minacciata espansione: loro sono più adatti e migliori di noi: sfruttiamoli. L'atto paradossale è esplicito. La realtà extra-diegetica del “momento” storico-politico pretende e necessita di un lieto fine possibile.
White Car/Dog, Black Deer/Man.
Tralasciando la sacra triade Romero-Carpenter-Cronenberg, si pensi al “Society” (1989) di Bryan Yuzna, in combutta con “Guess Who's Coming to Dinner” (Stanley Kramer e William Rose, 1967) che s'innesta e collassa in un doppio Ira Levin: “the Stepford Wives” (Bryan Forbes, 1975) e “RoseMary's Baby” (Roman Polanski, 1968).
Prologo.
“Run Rabbit Run” di Noel Gay e Ralph Butler per Flanagan and Allen.
Bang! Bang! Bang! Bang!
Goes the farmer's gun.
Run, rabbit, run!
Run! Run!
Don't give the farmer his fun!
Titoli di Testa. (E poi presente lungo tutto il film.)
“Sikiliza Kwa Wahenga” (para/semi-"traditional") di Michael Abels
Brother,
To save yourself,
Listen to the ancestors:
Run! Run!
(In swahili.)
Prima Scena.
“RedBone” di Childish Gambino (Donald Glover: “Atlanta”)
They gon' find you
Gon' catch you sleepin'
Now stay woke
Niggas creepin'
Now don't you close your eyes
But stay woke
Artisti attori.
Sul e del corpo/volto di Daniel Kaaluya (“Skins”, “PsychoVille”, “Black Mirror: 15 Million Merits”, “Sicario”, “Black Panther”, “Widows”) vive il film, nel bene, molto, e nel meno bene (qualche passaggio a vuoto perché di troppo o fuori posto).
Iperrealisticamente impressionante sul versante mise-en-scène romantica, Allison Williams (“Girls”) conserva anche nel finale un diverso tipo di tensione, più esplicita, e per questo meno conturbante; si muove, come sempre in bilico sul crinale tra perfezione e naturalezza, Catherine Keener (“Being John Malkovich”, “Full Frontal”, “S1m0ne”, “the Interpreter”, “Capote”, “InTo the Wild”, “Synecdoche, New York”, “Show Me a Hero”, “Kidding”) danzando “impassibile” sul filo dell'underacting stroppiato e sospeso s'un abisso prossemico di corpi, oggetti, movimenti, azioni e spazi; Caleb Landry Jones (“Crazy Dirty Cops”, “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri”, “Twin Peaks 3 - the Return”, e il prossimo "the Dead Don't Die" jarmuschiano) è capace di ridere mostrando solo gli occhi, mentre tutto il resto del corpo è impegnato a fare qualcosa di molto brutto; convincente Bradley Whitford (“West Wing”, “Studio 60 in the SunSet Strip”, “the HandMaid's Tale”), uno spasso mentre fa da anfitrione; Stephen Root (gran caratterista per i fratelli Coen, e: “the Men Who Stare at Goats”, “Pushing Daisies”, “True Blood”, “Red State”, “BoardWalk Empire”, “the NewsRoom”, “Fargo - 1”, “Justified”, “the Man in the High Castle”, “Barry”) giganteggia in una parte secondaria e terrificante, ed è capace di rendere lo spiegone che è destinato a interpretare alienante (“Sembra che la comprensione reciproca della procedura (ad opera di Coagula: dalle parti della Lacuna kaufman-gondryana e della Dharma jjabramsiana) abbia un effetto positivo sul successo del trattamento...” - “Perché noi, perché i neri?” - “Eh-eh! E chi lo sa? Il nero è di tendenza! Ma a me non me ne frega un cazzo di che colore sei...” - “This is crazy!” - “Ok, I'm done--”).
Chiudono il cast, in due ruoli secondari ma fondamentali, gli ottimi Betty Gabriel, Lil Rel Howery ("Bird Box"), Lakeith Stanfeild ("Atlanta"), Marcus Henderson ed Erika Alexander.
Artisti tecnici.
Regìa e sceneggiatura di Jordan Peele, classe 1979, proveniente da Mad TV, creatore, con Keegan-Michael Key, di “Key & Peele”, attore in “Fargo -1”, produttore con Spike Lee e Jason Blum di “BlaKkKlansman” e autore del successivo “Us” e del prossimo - in corso di trasmissione - reboot (il 3°, senza contare il film) di “the Twilight Zone”.
Fotografia di Toby Oliver e montaggio di Gregory Plotkin, entrambi di Casa Blum.
Musiche principali di Michael Abels (“Detroit”, “Us”) e addizionali di Timothy Williams.
Produce BlumHouse (con un rapporto d'investimento netto / guadagno lordo di 1 a 55) e distribuisce Universal.
“Mi conforta il concentrarmi sulle cose sbagliate.”
L'unico errore (attendo gradite confutazioni smententi e/o conferme avvaloranti) del film (tralasciando la sospensione dell’incredulità sul contesto scientifico, senza quindi cadere nel ridicolo criticando l’uso di candele in sala operatoria durante un intervento di… trapianto del cervello, ad esempio) potrebbe essere questo (e dipende dal fatto che nella stanza sia presente o meno, oltre che un microfono, anche una videocamera di sorveglianza nascosta, nell’occhio del cervo impagliato, o nel vecchio televisore anni ‘70, ad esempio), ovvero:
- se c’è, lo hanno visto infilarsi l'imbottitura (anche se sintetica... sembra comunque, più che ovatta, cotone: e via metaforando di schiavismo, come gli splendidi schizzi di sangue sulle bianche infiorescenze in “Django UnChained”)
- se non c’è, perché fingere, oltre che acusticamente (il microfono), anche visivamente di cadere in trance? (Vedi a tal proposito una scena dialetticamente speculare: la ragazza del protagonista, Allison Williams, che, mentre è al telefono con l'amico di lui, Lil Rel Howery, parla in un modo, concitato, e reagisce con le espressioni del viso in un altro, del tutto apatico.) Sospetta la presenza di un sistema di controllo video?
La sottile differenza tra il tentativo d’ingannare lo spettatore (gli strani atteggiamenti dei due domestici non sempre sono "giustificati", ma tutto si "risolve" con la reminiscenza e il riaffiorare delle personalità sommerse) e il volerlo sorprendere.
"Sex slave! Oooh... shit, man! Chris, you've got to get the fuck up out of there, man! You are in some “Eyes Wide Shut” situation. Leeeave motherfuck…"
Un punto / mezza stella in più per:
- l'originale e sorprendente (plongèe e mise en abyme) rappresentazione del Sunken Place (la gabbia psichica - mondo/luogo sommerso / tunnel sprofondo), tra il “Vampyr” di Carl Theodor Dreyer (e il “Murder, My Sweet” di Edward Dmytryk) e l’Under the Skin di Jonathan Glazer (e lo “Stranger Things” dei fratelli Duffer.)
- l'ottimo jump-cut comico in campo-controcampo (l’amico del protagonista, Lil Rel Howery + la detective, Erika Alexander), attraverso il quale si palesa l’eredità di un “passato” performativo da stand-up comedian da parte del regista-sceneggiatore.
- la corsa d'allenamento (alla “It Follows” in accelerando) di colui che adesso può correre più veloce di Jesse Owens (e quindi no, non gli è passata, non l'ha digerita quella multipla stangata ricevuta nei primi giorni dell'agosto del 1936 a Berlino...).
(↑ Get Out ↑ - ↓ Vampyr ↓)
( ↑ Vampyr ↑ - ↓ Get Out ↓)
(↑ Get Out ↑ - ↓ Vampyr ↓)
(↑ Vampyr ↑ - ↓ Get Out ↓)
(↑ Get Out ↑ - ↓ Under the Skin ↓)
(↑ Under the Skin ↑ - ↓ Murder, My Sweet ↓)
(↑ Murder, My Sweet ↑ - ↓ Get Out ↓)
(↑ Get Out ↑ - ↓ Under the Skin ↓)
(↑ Under the Skin ↑ - ↓ Get Out ↓)
(↑ Get Out ↑ - ↓ Under the Skin ↓)
La "minoranza" wasp, mantenendo la posizione in attesa dell'estinzione supposta, "attesta" la propria superiorità con malcelato paternalismo schiavista arretrando, r/aggirando, innestandosi nel "fronte opposto" dell'orda nera in minacciata espansione: loro sono più adatti e migliori di noi: sfruttiamoli.
L'atto paradossale è esplicito.
La realtà extra-diegetica del “momento” storico-politico (semplificando all'eccesso: nel pieno della prima era Trump dopo due mandati Obama) pretende e necessita di un lieto fine possibile.
* * * ¾ - 7 ½
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta