Regia di Jordan Peele vedi scheda film
Film che ci precipita ben presto in un incubo paranoide che strizza l'occhio ad 'I Walked with a Zombi' di J.Tourneur ed alla trance escatologica di Under the Skin di Jonathan Glazer, alternado il ritmato montaggio al suono della filastrocca anticrucca 'Run Rabbit Run' ad una ossessione onirica di mesmerismi all'ora del tè.
Invitato dalla sua ragazza bianca a trascorrere un weekend nella villa dei suoi per fare la loro conoscenza, il giovane Chris si accorge ben presto che la situazione non quadra affatto: i due domestici di colore sembrano automi catatonici, i suoceri sono due medici col pallino dell'ipnosi ed il cognato è un bullo fascistoide fissato con le arti marziali. Il party organizzato per celebrare il capostipite della famiglia poi, richiama in casa facoltosi ospiti ariani che mostrano verso il suo giovane e aitante corpo nero un'ammirazione alquanto sospetta. La realtà però è ancora più sconvolgente e terribile di quanto possa immaginare.
Giocare con i luoghi comuni della cultura razziale americana e dell'horror paranoico in una versione riveduta e corretta di 'Indovina chio viene a cena?', non era cosa ne' semplice ne' scontata; tanto più se la scrittura intende provocatoriamente rispettare tutti i paradigmi del genere, configurandosi come una boutade divertita che trova nell'originalità della messa in scena e nell'intelligenza dei suoi cambi di registro la chiave per un soggetto che credevamo di conoscere a menadito.
Se l'esordio del giovane Yuzna nella feroce satira all'edonismo dell'upper class americana in 'Society' rappresentò una fortunata declinazione dello splatter anni '80, i corsi e ricorsi storici del cinema occidentale ci conducono dritti dritti all'opera prima del coloured director Jordan Peele che utilizza i codici del thriller psicologico del Terzo Millennio (The Wicker Man,The Visit) quale accattivante espediente per una messa alla berlina tanto dello strisciante e irriducibile razzismo della società americana, quanto dei meccanismi stessi del genere, oscillando tra l'angosciante orrore di un protagonista finito nel cul de sac di una follia metempsicotica ed i grotteschi risvolti di una detection parallela compiuta dall'improbabile agente del TSA amico di quest'ultimo (demiurgico alter ego del regista e vera coscienza dello spettatore più sgamato), che azzarda per mera deformazione professionale una teoria criminologica tanto incredibile quanto esattamente corrispondente al vero.
Insomma tra le risibili angosce post 11 Settembre e la legittima suspicione di una diffidenza razziale dai risvolti imprevedibili (neri con la tosa color latte che non si trovano a proprio agio con troppi bianchi in giro e bianchi di discendenza teutonica che ambiscono a diventare neri: perchè più forti, longevi e...la cui scomparsa è presto archiviata dalla polizia), il film ci precipita ben presto in un incubo paranoide che strizza l'occhio al Romero de La notte dei morti viventi (anche se l'immaginario è quello di I Walked with a Zombie di J.Tourneur) ed alla trance escatologica di Under the Skin, alternado il ritmato montaggio al suono della filastrocca anticrucca Run Rabbit Run (scritta dal Reggy Armitage da cui prendono ironicamente il nome i parenti della ragazza) ad una ossessione onirica di mesmerismi all'ora del tè; dai siparietti semiseri col grassone che non sbaglia un colpo ai genuini spauracchi di una teoria di clichè e simbolismi (i sensi di colpa per la madre morta e l'alce-trofeo lasciata morire, fino al flash di un talento fotografico in grado di smascherare l'impostura e rivelare la verità) capaci di precipitarci nell'incubo claustrofobico di un delirio di onnipotenza che non si arrende all'inesorabile sentenza del tempo che corrompe i corpi e condanna le anime (Martyrs).
Momenti topici: la scena dei tre poliziotti che si fanno grasse risate col racconto del beone LilRel Howery e quella del rapper Lakeith Stanfield che urla "Get Out!!!" affiorando appena dal suo profondo letargo di finto liberto.
Le nuove frontiere dello schiavismo: non ci basta averli tutti per noi, adesso vogliamo essere esattamente come loro!
Azzeccate le caratterizzazioni: dagli occhi strabuzzati di uno sgomento Daniel Kaluuya (15 Million Merits - Black Mirror) all'ambiguità stregonesca della ipnotista Catherine Keener (Being John Malkovich, Synecdoche, New York). Giochi di prestigio al botteghino per la Blumhouse che spende 1 e guadagna 40 a programmazione ancora in corso.
"Avere la pelle bianca è stato un vantaggio negli ultimi due secoli. Ma ora è diverso. Il nero fa tendenza!"
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