Regia di Jordan Peele vedi scheda film
Satira e orrore. Il meccanismo del cinema del soprannaturale cela una realtà saldamente ancorata alla terra animata da uno spirito di sopraffazione inestirpabile.
Il vero fenomeno dell’annata cinematografica è arrivato nelle sale. Scappa – Get out, diretto da Jordan Peele per Jason Blum della Blumhouse è il thriller psicologico-horror che non ti aspetti.
La coppia interraziale composta da Chris, nero, fotografo di talento e lei, Rose, bianca, intraprendono un viaggio da New York al sud degli U.S.A. per la presentazione ufficiale della coppia ai genitori di lei. Il padre Dean (Bradley Whitford) neurochirurgo e Missy (Catherine Keener) la madre psicologa sono due moderni e aperti genitori progressisti che non battono ciglio quando il ragazzo si presenta loro al fianco della figlia. Nonostante il noto retaggio culturale del sud degli Stati Uniti d’America. Nonostante abbiano al loro servizio giardiniere e cameriera di colore.
Indovina chi viene a cena? La genuina sorpresa e i dubbi di Spencer Tracy quando nel 1967 la realtà di un futuro interraziale sconvolgeva improvvisamente le sane, consolidate abitudini segregazioniste dei bianchi camuffate da atteggiamenti progressisti, era allora cosa naturale, legittima. Poi il paziente Sidney Poitier riusciva a convincere il burbero suocero della bontà delle proprie intenzioni. E tutto finiva a tarallucci e vino.
Nulla di tutto questo in Scappa – Get out. Il politicamente corretto è un mero ricordo della cerimonia degli Oscar 2017 e di un certo cinema black fatto dai bianchi. Peele regista afroamericano, regala un sulfureo thriller psicologico che mette in carne l’essenza stessa del razzismo. Quello subdolo e politicamente corretto che Barak Obama aveva mimetizzato dietro la propria statura politica. In realtà le braci covano e ogni tanto sviluppano fiammelle destinate a divenire incendi. Chi ha dubbi in questo film è Chris, ben conscio, nonostante sia un metropolitano cool, che le differenze di colore non si sono mai uniformemente fuse in un’unica grande nuance. Anzi.
Qui i pregiudizi prendono carne, esprimono una verità soffocata dall’urbana accettazione dell’altro come membro paritario della società ma che in realtà si dimostra solo essere un malvagio paravento per perpetrare la storica sopraffazione di una razza sull’altra.
Jordan Peele ha preso spunto dal cult La fabbrica delle mogli (1975) per costruire un meccanismo perfetto di ambigua paranoia, dove il pericolo si annida negli sguardi e nell’assenza di essi, nelle gestualità enfatiche e nei silenzi disturbanti. Racconto rettile per come le spire si stringono attorno al protagonista ma di una semplicità tanto lineare e chiara da far arrossire per non aver capito prima – ovvero troppo tardi – quale sia la portata sociale e politica del mistero che si cela in quella casa nel bosco.
Pur avendo gli stilemi dell’horror e alcune scene che lo ratificano come appartenente a pieno titolo al genere, è la psicologia che regge tutto il gioco rendendo ogni scena importante e portatrice di un proprio senso esclusivo.
L’ironia beffarda che Peele sparge per tutto il film diventa a un certo punto tragicamente grottesca richiamando alla memoria il recente passato dei torture porn prima e un certo cinema della follia poi (Misery non deve morire, ad esempio) ibridato con gli stilemi della ghost story. Il meccanismo del cinema del soprannaturale cela una realtà saldamente ancorata alla terra animata da uno spirito di sopraffazione inestirpabile. Il tutto composto con molto stile, coerenza, un grande senso della suspense e dei meccanismi che regolano il genere. Il genere che è fatto di facce, di situazioni, di senso esclusivo che deve trascendere le immagini. Quando questo succede, si è di fronte ad un grande film. E in Scappa – Get out, questo succede in pieno.
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