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Un borghese piccolo piccolo

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Un borghese piccolo piccolo

di Antisistema
9 stelle

Si è creata questa cosa per cui tu adesso sei l’esponente della nuova regia italiana, della nuova nouvelle vague italiana: no, non è vero. Sei un buon regista. […] Sei stato il press agent più straordinario che ci sia nella gioventù italiana dai quarant’anni in giù, credimi. Che il film (Io sono un autarchico) poi sia grazioso, siamo d’accordo: ma ti assicuro che è molto meno di quello che tu credi" (Mario Monicelli replica a Nanni Moretti).

 

Un acuto osservatore della realtà come Mario Monicelli con questo suo profetico pensiero, smonta tutto il personaggio di Nanni Moretti e l'inconsistenza del suo pensiero cinematografico-politico, a conti fatti Io sono un Autarchico (1977) visto oggi è roba da residuato bellico, mentre il capolavoro Monicelliano un Borghese Piccolo Piccolo (1977), risulta a distanza di oltre 40 anni una pellicola tremendamente attuale e tutt'altro che "reazionaria" come affermò Moretti, che del film aveva capito solo il sostrato superficiale del terzo atro, senza capire la degradazione umana del protagonista presente sin da subito, che provoca uno sconforto sempre maggiore nello spettatore, mano a mano che la narrazione progredisce.

Con un'inquadratura iniziale immersa nel verde della campagna laziale, dove vediamo un uomo e suo figlio in riva ad un corso d'acqua dediti alla pesca, con una fotografia evocativa di Mario Vulpiani che esternalizza l'idea piccolo borghese di eden, subito Monicelli descrive con un'immagine la figura di Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi) e del figlio Mario (Vincenzo Crocitti). Giovanni è un piccolo borghese impiegato attualmente al ministero della previdenza sociale (che qua viene chiamato "delle pensioni", era il vecchio nome?), prossimo alla pensione, una moglie come Amalia capace di sopportarlo (Shelley Winters), proprietario di due case (la principale a Roma e l'altra in campagna dove conta di passare la vecchiaia) e padre di un figlio ragioniere che vorrebbe vedere piazzato in un impiego al ministero, se non fosse che c'è da superare un concorso duro, i posti sono solo 900 e Mario non risulta molto sveglio.

Siamo innanzi ad una commedia nera nella tradizione di Monicelli che piano piano sfocia sempre più nel dramma, sino alla tragedia nelle battute finali, che mettono in chiaro la mentalità cripto-fascista della piccola borghesia italiana, nascosta dietro l'apperenza bonaria e sempliciotta.

 

 

L'Italia è irrimediabilmente condannata questa volta e non c'è alcuna speranza di salvezza, perché come dice il prete (Renato Scarpa) profondo conoscitore delle miserie umane in confessione, l'unico destino possibile è un verdetto di distruzione totale, in un paese dove anche la morte diventa oggetto di speculazione ed intrallazzi, con posti già occupati e tutti gli altri defunti disposti in lugubri bare l'una sopra l'altra.

C'è da piangere vedendo questo film come questo paese sia sempre uguale a sé stesso con l'assenza di meritocrazia, raccomandazioni da ottenere a qualsiasi costo in modi anche umilianti verso i propri superiori (dialogo tra Mario, Spaziani e Giovanni, di un realismo allucinante e per questo sgradevole a sentirsi, come la forfora che cade dai capelli di Spaziani), corruzione dilagante e soprattutto una mentalità piccolo borghese atta a coltivare il proprio orticello perpetrando sé stessa a scapito di qualsiasi interesse collettivo visto come un qualcosa di alieno; una realtà di paese costruita su tali personaggi ci ha donato un oggi desolante e senza speranza di alcun cambiamento, un'Italia così può benissimo sprofondare nel mare perché essendo fondata su corruzione, arrivismo e ipocrisia, corrompe anche i suoi migliori figli, chi prima e chi più tardi, omologandoli a tale mentalità, magari questa recensione è una sorta di testamento in quanto ancora testa pensante, ma magari tra qualche anno diventerò pure io un piccolo borghese di merda, omologato alla mentalità italiana e quindi accrescendo ancora di più il problema. Alberto Sordi dismette i panni della macchietta dell'italiano medio, pur continuando ad essere una maschera dei vizi e delle negatività dei suoi abitanti, portando il suo personaggio abilmente su un registro sempre più viscido e amorale, pronto a mettere da parte la propria fede cattolica per entrare nella massoneria puntando ad ottenerne i favori e qualche potere, come un compasso che traccia un cerchio, ma quello di Giovanni è piccolo, come la mentalità mediocre impiegatizia a cui appartiene, illudendosi di avere il controllo nel proprio piccolo orticello e coltivare per il resto della vita un'esistenza tranquilla. Abbandonata ogni caricatura comica, Sordi diventa il perfetto ritratto del borghese medio, un uomo stressato, frustrato, cafone e irascibile con la moglie ogni volta che costei si permette di replicare alle sue presunte certezze, sino a farsi sopraffare da una rabbia violenta, che porta un'inquietante scia di vendetta, sangue e morte.

Una lucida analisi sul fascismo dell'italiano medio, forse il suo limite nella visione politica dell'autore che in quanto comunista punta il problema solo sulla borghesia, quando in realtà sono tutti i componenti del sistema paese ad essere dei piccoli "Giovanni Vivaldi", ma per il resto è un film tutt'altro che reazionario o un'apologo sulla giustizia privata, poiché il personaggio è negativo sin da subito.

 

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

 

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