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Un borghese piccolo piccolo

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Un borghese piccolo piccolo

di lamettrie
9 stelle

Un film intensissimo, autentico, profondissimo, evidentemente tratto da un soggetto splendido, come il romanzo di Cerami. Ma la regia di Monicelli, l’interpretazione eccelsa di Sordi, la resa collettiva del cast, l’adattamento in ogni sia parte, l’agilità, aggiungono valore a questo che può essere considerato un capolavoro, cui non do 10 solo per la cupezza del pessimismo che lo ispira. Che può apparire eccessivo, e nero, ma di certo non così falso.

La pellicola contiene due parti, è evidente: la morte del figlio è lo spartiacque tra la prima e la seconda parte; di fatto, tra la commedia e la tragedia.

Nella prima c’è la critica sociologica al personaggio di centro destra, il tipico moderato del ‘900, di quelli che covano rancori: di quei depressi che credono che la vita sia solo individualismo e competizione. Non c’è nulla di apprezzabile nella vita quotidiana dell’impiegato Sordi: il rapporto con la moglie è orrendo, la religiosità è solo superstizione, la falsità e il sotterfugio trovano la loro perfetta consacrazione nella corsa alla raccomandazione illegale quanto efficace. Sordi è abituato alla violenza: all’inizio squarta il pesce come alla fine sevizia un uomo, animato dalla stessa disumanità. L’accordo con gli altri è solo strategico: “bisogna stare simpatici a tutti”, raccomanda al figlio nel suo coriaceo servilismo: ma di simpatia umana autentica non c’è neanche l’ombra. Quegli impiegati “arrivati”, figli del boom e di una relativa agiatezza sconosciuta alla generazioni precedenti, che hanno goduto di vantaggi ignoti prima e dopo di loro, possono permettersi di essere i proverbiali fancazzisti dell’impiego pubblico, che in modo superficiale e immeritato godono di quanto altri hanno costruito per loro, nei decenni precedenti. L’aura fantozziana dell’ufficio è perfettamente resa dal personaggio del capo, un grande Romolo Valli, squallido come la sua forfora: una nullità al potere. Come una nullità è il figlio, un viziatello che che i genitori vedono invece come la proiezione del proprio essere: non essendo loro nulla di felice, ripongono ogni aspettativa nel figlio, per il quale con disinvoltura, e attesa trionfante, hanno già fatto tutti i passi per truccare il concorso (e per ottenere un posto al cimitero si vede poi la stessa corruzione, che è un pilastro,  inconfessabile quanto inscalfibile, dell’Italia).

Nella seconda parte, tragica, emergono tanti tratti umanamente diversi , e più appezzabili, che però sono possibili solo dopo che Sordi passa attraverso il peggiore dei dolori possibili: la morte di un figlio. Splendido è l’amore per la moglie divenuta paralitica (amore che prima non si vedeva); splendida è la scena in mezzo ai recenti morti, che vengono pianti dai cari, scena di un’intensità lirica straordinaria, per quanto popolare (e a Roma scene di questo tipo riescono divinamente, per il trasporto sanguigno, la schietta visceralità…). E poi c’è tutto l’abisso del dolore che spinge alle cose più bestiali, e che per assurdo acceca proprio mentre favorisce una lucidità notevole. Qui arriva a livelli della grande tragedia il tema della vendetta personale, ma più che altro per la sua causa: l’insuperabilità di un dolore che sovrasta. E che a sua volta è possibile solo per il nulla di senso in cui si è coltivata la propria esistenza: a fronte di episodi tragici,  tale nulla esplode. Prima lasciava il campo a una malinconia diffusa, finché le circostanze sorridevano.

Ma resta un’infelicità che ha varie facce: meno sonora quando tutto sembra andare nei binari prestabiliti di una crescente tranquillità, atroce quando ciò viene smentito. Ma forse bisognava pensarci prima, a darsi dei valori reali.

E questo è il vero messaggio del film, attuale a altre 40 anni di distanza (come è attuale è, e anzi è sempre crescente dagli stessi anni ‘70, lo strapotere capitalista): il mondo borghese, quello creato dai capitalisti, genera persone che si fanno trasportare passivamente dalla vita, da sudditi addormentati che credono nonostante ciò di rimanere tranquilli e beati. Ma così non è.

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