Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Monicelli e Sordi in stato di grazia, con una vicenda che ricalca e supera i limiti della commedia all'italiana (rappresentata dalla prima parte del film) ed affonda nel cinema 'politico' degli anni '70, rimanendo nei canoni della fiction per raccontare una storia di giustizia privata ed ordinaria violenza (la seconda parte). Una netta divisione in due sezioni che però non sminuisce affatto il valore dell'opera nel suo complesso, che anzi risulta completa nell'integrarsi di una sezione 'leggera' e di una maggiormente 'seria'. Giovanni Vivaldi non è Travis Bickle (Taxi driver), non è un superuomo, non ha la forza fisica o un'ideologia che lo sorregga; è anzi un essere meschino, un corruttore, un ipocrita (memorabile la preghiera in gabinetto prima di diventare massone), ma soprattutto un anziano disperato, la cui unica ragione di vita è di sistemare il figlio. Questo ce lo rende simpatico, ci fa fare il tifo per la sua violenza smisurata e per la sua vendetta contro le sorde ed impotenti istituzioni; è quindi un film, inoltre, di pesante denuncia sociale e politica, impietoso, pessimista nel midollo e grandiosamente cinico. Dopo quest'opera l'accoppiata Sordi-Monicelli darà buoni risultati con Il marchese del grillo, ma non tornerà mai più a questi livelli.
Un impiegato ministeriale ormai prossimo alla pensione ripone tutte le sue speranze nel figlio ragioniere; per fargli passare un concorso pubblico entra nella massoneria e tenta di corrompere i suoi dirigenti, ma proprio il giorno del concorso, disgraziatamente e per puro caso, il figlio rimane ferito mortalmente nella sparatoria che segue ad una rapina. La madre del ragazzo rimane paralizzata per lo shock, il padre va alla ricerca del rapinatore-assassino, lo trova, lo rapisce e lo tortura a morte.
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