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Amici miei

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Amici miei

di axe
8 stelle

Cinque amici fiorentini di mezza età combattono la noia della quotidianità e dimenticano temporaneamente i loro guai riunendosi e dilettandosi in "zingarate", scherzi e goliardìe sommariamente organizzati, o anche improvvisati. Uno di loro è vittima un malore fatale; pur sul letto di morte, non rinuncia al suo spirito irriverente, e lo stesso fanno i compagni, riuniti in occasione del funerale. "Amici Miei" nacqe da un progetto del regista Pietro Germi, il quale non ebbe modo di dirigerlo, causa malattia e successiva morte. Gli subentrò Mario Monicelli. L'opera fu comunque dedicata al collega da poco scomparso. L'intreccio di questa amara commedia è molto semplice. Uno tra i personaggi, il giornalista Perozzi, racconta di sè e dei suoi affiatati amici, il conte decaduto Mascetti, l'architetto Melandri, il barista Necchi; al gruppo, nello sviluppo della vicenda, s'aggiunge Sassaroli, primario ospedaliero che condivide il loro modo di essere e di svagarsi. Ognuno, in questa sorta di circolo privato, esprime disappunto per la realtà che lo circonda, priva di stimoli ed, a sua volta, inerte. La reazione del gruppo non è ispirata ad alcun ideale, o ideologia; i cinque si limitano ad imbastire "zingarate" : scherzi, burle, finzioni di varie entità, ai danni dei malcapitati di turno; alcune "zingarate" sono preparate con cura, altre sono spontanee, poichè ai cinque non mancano lo spirito, l'inventiva, l'impertinenza. Con la consapevolezza di essere negli ultimi istanti di vita, uno di loro, lo stesso Perozzi, colpito da grave malessere poco dopo la conclusione del suo racconto, proferisce le parole senza senso con le quali era solito prendersi gioco di smarriti interlocutori; e gli amici, pur nella tristezza delle esequie, non perdono l'occasione per riprendere le fila di un precedente scherzo, e riderne tra loro, rinsaldando quella complicità che li conforta ed unisce, nonostante le scelte disgregatrici dell'uno - l'architetto Melandri s'infatua della moglie di Sassaroli, prima ancora che questi entri a far parte della combriccola, ed il marito gliela "concede", con tanto di prole, vorace animale domestico e governante di rigore teutonico, mettendo il professionista in serie difficoltà economiche legate al mantenimento - ed i guai dell'altro - il nobile Mascetti, privo di mezzi di sostentamento per sè e la famiglia, vive una tormentata storia d'amore con l'adolescente Titti, figlia di un astioso colonnello il quale riferisce tutto alla dimessa coniuge del conte, la quale tenta il suicidio. Mario Monicelli ebbe a disposizione un buon cast. Perozzi, un individuo poco appariscente, odiato dalla ex-moglie e non amato neppure dal serioso figlio, è interpretato da Philippe Noiret. Mascetti, godereccio ed ipocrita, ma ancora legato alle apparenze probabilmente connesse al suo stato di nobile, pur in disgrazia, è interpretato da Ugo Tognazzi. Il nevrotico Melandri è interpretato da Gastone Moschin; Necchi, razionale ed inesorabile, da Duilio Del Prete. Il prolifico Adolfo Celi recita nei panni del dottor Sassaroli, al quale non par vero di poter scacciare il tedio ed i costi della famiglia ai danni di Melandri, e poi di aderire all'allegra compagnia. Di rilievo la presenza di Milena Vukotic, nei panni della moglie di Mascetti. Il ritmo del racconto è lento, i colori per lo più spenti; ciò contribuisce ad alimentare una certa malinconia di sottofondo, la cui presenza è in linea con il pensiero pessimista di Mario Monicelli. Le "zingarate" sono divertenti, geniali; hanno un nitida valenza catartica; ma, per ammissione del narratore Perozzi, poi finiscono; ognuno dei personaggi, uomini dalle carriere affermate, seri, soddisfatti ed ottimisti - secondo quanto sarebbe naturale attendersi - torna ad immergersi nel grigiore quotidiano, nelle difficoltà economiche e relazionali, dai quali, evidentemente, non c'è un via di fuga definitiva, se non, come vediamo nell'ultima parte del film, la morte. Un epilogo che il personaggio sa affrontare con lo stesso spirito irriverente e nichilista con il quale ci si è approcciati alla, non molto diversa, vita. Dunque, durante la visione, ci si appassiona, ci si affeziona ai personaggi - grazie anche all'ottima prova degli attori - e si ride, ma, come spesso accade di fronte alle opere del regista romano, di riso amaro.

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