Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Una serie di vicende a sfondo criminale apparentemente slegate tra loro si intrecciano invece inaspettatamente: una coppia di giovani rapinatori (A. Plummer e T. Roth) decidono di rapinare un fast food; i killer Vincent e Jules (S. L. Jackson e J. Travolta) devono svolgere un lavoretto per conto del loro capo ma hanno una serie di disavventure; Butch, un pugile fallito, (B. Willis) dovrebbe perdere il suo prossimo incontro in accordo con il gangster Marsellus Wallace (V. Rhames), ma decide di fare il doppio gioco.
Ben pochi registi nella storia del cinema hanno avuto la capacità di influenzare l'immaginario collettivo (cinematografico, ma non soltanto) al pari di Quentin Tarantino, e, inoltre, pochissimi possono vantarsi di avere ottenuto una risonanza simile fin dagli esordi (forse il solo Orson Welles).
"Pulp Fiction" valse la consacrazione definitiva a Tarantino dopo il folgorante esordio de "Le Iene", e ad oggi rimane il suo capolavoro assoluto, nonché una delle pellicole più innovative e significative degli ultimi trent'anni.
Con "Pulp Fiction" Tarantino rivela la propria natura di onnivoro conoscitore della materia cinematografica, ma soprattutto la sua straordinaria capacità di giocare con il cinema e i suoi generi, demolendone letteralmente le regole e i meccanismi codificati. Una sperimentazione di tale portata avviene, paradossalmente, nel campo del cinema popolare, di bassa o bassissima lega (il significato dell'aggettivo "Pulp" è chiarissimo in proposito), di cui il regista è sempre stato un grande patito, e che qui dimostra di avere metabolizzato a dovere. Per usare un espressione cara a Hitchcock e Truffaut, Tarantino ha saputo essere "commerciale" e "sperimentale" allo stesso tempo.
Il regista scombina ad arte la cronologia temporale degli eventi, in maniera ancora più radicale che ne "Le Iene", e imbastisce una vicenda corale composta da un intreccio di situazioni volutamente assurde e ai limiti del grottesco, disseminando strada facendo una serie di McGuffin (la storia dell'orologio, la valigetta dal contenuto misterioso, presa di peso da "Un bacio e una pistola" di Robert Aldrich) allo scopo di creare nello spettatore delle false attese che vengono poi puntualmente deluse. E ancora: dialoghi al fulmicotone (e qui Tarantino si dimostra debitore del cinema di Howard Hawks), paradossali al punto da richiedere spesso una sospensione dell'incredulità; personaggi che, nella migliore delle ipotesi, sembrano scappati da un manicomio, e rivolgimenti narrativi che, in forza della loro anzidetta assurdità, sortiscono spesso e volentieri risultati spiazzanti e persino esilaranti. Per non parlare delle improvvise esplosioni di violenza e delle derive truculente, che sono da sempre state un marchio di fabbrica di Tarantino. Indubbiamente non è un cinema per tutti i gusti, ma se si sta al gioco il divertimento è assicurato.
Tarantino ha dalla sua un cast strepitoso, che utilizza nel migliore dei modi: Samuel L. Jackson nella parte del killer che crede ai miracoli; un indimenticabile John Travolta, che all'epoca era in declino e venne letteralmente rilanciato da questa pellicola (avrà poi tutto il tempo di perdersi nuovamente); Uma Thurman, conturbante e sexy nel ruolo della moglie drogata di Marsellus Wallace; Bruce Willis, che, seppure non sia un attore eccelso e non brilli per espressività, viene qui utilizzato con grande efficacia; Harvey Keitel, iconico nel ruolo dell'imperturbabile Mr. Wolf; e, per finire, Tim Roth e Cristopher Walken, quest'ultimo nel ruolo del capitano Koons.
Le sequenze d'antologia si sprecano, ma indubbiamente meritano una menzione speciale Jules che uccide le sue vittime declamando il passo della Bibbia (fittizio) Ezechiele 25:17, Vincent e Mia che si scatenano al ritmo di "You Never Can Tell", Butch, armato di katana, che salva Marsellus dalle grinfie di Maynard e Zed, e l'erronea uccisione di Marvin in macchina (una situazione degna di un film di Aldo, Giovanni e Giacomo), con relativa risoluzione del problema da parte di Mr. Wolf.
Eccezione fatta per "Jackie Brown", Tarantino in seguito non ha saputo più rinnovare il proprio repertorio, e si è fossilizzato all'interno delle formule che lo avevano portato al successo, replicandole in maniera spesso eccessiva, senza però riuscire a trovare il miracoloso equilibrio e l'originalità degli esordi.
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