Se agosto è il mese del tuttifuori strombazzante e acquatico, e della socialità estrema (coll'animatore di contatto che ti entra dalla finestra facendo scattare un gioca giuè all'ultimo sangue), cinematograficamente fa, invece, voglia di film horror in sala vuota (non solo per covid) o film 'intime' e casalingo alla Pranzo di ferragosto, per intendersi. Come se alle cocomerate buiaccare, schizzate di salsedine e urla beduine, si volesse rispondere - estrema resistenza - con un UFF artistico e distanziato, in cerca di ombreggianti oasi di poesia. Maria per Roma della debuttante Karen di Porto offre quest'oasi. Il titolo mostra già una bella dose di ironia: vai un po' a trovarla una Maria per Roma, è modo di dire romanesco, come cercare il signor Mancuso in Sicilia o i Piras in Sardegna. Ne trovi uno, nessuno, centomila, direbbe il sor Luigi.
Sì, ma chi è la nostra Maria, qui? Un'aspirante attrice che però lavora per le bollette come affitta appartamenti per i turisti (a Roma che vuoi fare? o turismo o arte o tutt'e due). La seguiremo per una sua giornata tipo, dall'alba al tramonto, e isterizzandoci con lei perché l'Urbe è un tritacarne (prima ancora che un tritasogni), verremo a conoscere le ubbie della madre, i dialoghi col padre fantasma amletico, e Cesare l'amico/collega che fa Gesù per i turisti in cerca di misticismo in questa capitale del bassissimo Impero. Nel più totale bailamme, l'unico vero antidepressivo è la cagnolina Bea, portatrice sana di buonumore.
Risultato? Una commedia leggera ed esistenziale, adattissima per queste calure, un po' scombiccherata come la sua interprete-regista, una donna del Duemila che tenta, a modo suo e nonostante tutto, di far quadrare il benedetto cerchio. Un'opera prima, sempre un po' furba (nei morettismi) e altrettanto ingenua ma di sicuro interesse.
Prestare attenzione.
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