Regia di Dario Argento vedi scheda film
Grande film, ciofeca datatissima, Giuliano Gemma, alias Montgomery Wood, era figo? Asia Argento non è come la madre? Anthony Franciosa faceva di vero cognome Papaleo come Rocco e, ne La cicala, perdeva la testa per la minorenne Barbara De Rossi e faceva di cognome Mereghetti? Eh già, siete tipi da Virna Lisi, lasciate stare i maledetti.
Ebbene, in occasione dell’immediata uscita nelle sale di Occhiali neri, nuova opus firmata da Dario Argento (Trauma, Profondo rosso), a esatta distanza di dieci anni dalla sua ultima pellicola, ovvero il massacrato Dracula 3D, dal magico cilindro delle nostre acute reminiscenze cinefile, viaggiamo indietro nel tempo, dall’anno corrente 2022, arriviamo a ritroso nel lontano ‘82. Anno della release del cult movie Tenebre.
Tenebre, a quel tempo, fu vietato ai minori di anni 18 per via delle sue molte scene di violenza efferata a base di spietati squartamenti, braccia mozzate e incontenibile sangue a fiotti che nel corso della sua durata, cioè un’ora e quarantuno minuti, zampilla e gorgoglia furiosamente dalle viscere delle inermi vittime d’una carneficina senza sosta compiuta dal maniaco omicida che è al centro di tale torbida e cupissima storia, scritta interamente in forma originale dallo stesso Argento, inquietante e macabra, follemente perversa e senza dubbio, altresì, affascinante e coinvolgente. E al contempo, così come enunceremo nelle prossime, imminenti righe, però un po’ datata, messa in scena con alcune ingenuità evidenti e sbavature, grossolanità e semplicistiche soluzioni che, se nei primi eighties, potevano risultare scioccanti e di perturbante impatto emotivo perfino psicologicamente, potremmo dire, elettrizzante, oggi come oggi, giustappunto appaiono ampiamente superate. Addirittura, a tratti, involontariamente ridicole.
Detto ciò, è indubbio che Tenebre, contestualizzato alla sua epoca, rappresentò un passo decisivo nella carriera di Argento, imponendosi come pellicola ragguardevole e, adottando un’espressione del linguaggio gergalmente critico, seminale. Essendo certamente innovativa e ovviamente coraggiosa. Potente ed emozionalmente lancinante, lacerante, pervasa com’è da una perenne, respirabile, funebre atmosfera di morte e terrore veramente rabbrividente, evocativa e perfino fascinosamente, ipnoticamente onirica.
Se volessimo sintetizzare la filmografia di Argento a scopo generalista ed enciclopedico, potremmo inoltre dire che la sua poetica d’autore centrifuga, a livello prettamente tematico e diegetico, due filoni alquanto chiari, inconfutabili ed esemplari. Ovvero, è demarcata e allo stesso tempo combaciante di due generi cinematograficamente speculari e duali. Cioè, i film a matrice visionaria dalle trame orientate verso il paranormale o l’ancestrale (Phenomena, Suspiria) e i film thrilling di natura slasher e con tetre vicende di detection ove a farla da padrone è un misterioso serial killer (donna, come in Profondo rosso, o uomo che sia) che, aggirandosi al buio, seminando il panico nel crescere palpabile della tensione spesso anticipata, sorretta da incalzanti musiche dei Goblin o, in questo caso, della premiata ditta Simonetti-Morante-Pignatelli, cioè sempre loro, eh eh, uccide barbaramente a sangue freddo in modo implacabile e terribilmente impietoso.
Dunque, una filmografia distinta tra i film di paura classici à la Alfred Hitchcock rielaborato in salsa, anche sanguigna e sanguinaria, moderna, e le pellicole (vedi anche Inferno) a sfondo esoterico-sovrannaturale.
Tenebre, memore anche di Halloween del suo amico John Carpenter, appartiene indissolubilmente al genere giallo puro tinto di rosso. Ed è un film a fortissime tinte ombrose ove l’ombra della malattia del Lombroso si staglia in un incubo a occhi aperti davvero spaventoso.
Trama, riassunta brevissimamente: Lo scrittore di gialli alla Agatha Christie e alla Arthur Conan Doyle, di nome Peter Neal (Anthony Franciosa), arriva a Roma dopo aver preso l’aereo dagli Stati Uniti. È giunto nella capitale italiana per presentare alla stampa il suo nuovo romanzo intitolato Tenebrae (titolo latinizzato di Tenebre e titolo per il mercato statunitense, conosciuto anche come Unsane). Nel frattempo, anzi, immediatamente di lì a pochissimo dal suo arrivo a Roma, qualcuno sta trucidando molte persone, ispirandosi, neanche a farlo apposta, al modus operandi delle uccisioni descritte nella novella succitata di Neal stesso. Lestamente, in merito a tali orridi fattacci aberranti, indaga l’irreprensibile capitano di polizia Germani (Giuliano Gemma), fra l’altro accanito fan irriducibile di Neal, in quanto suo strenuo ammiratore e puntualissimo lettore immancabile.
Tenebre, fotografato dal grande Luciano Tovoli, il quale per l’occasione abbandona i suoi stilistici, pindarici voli cromatici, osiamo dire, perfino pittorici ed equiparabili, per similitudini tra sofisticati cinematographer nostrani, al Vittorio Storaro (L’uccello dalle piume di cristallo) migliore e più genialmente sperimentalista, scegliendo una linea più naturalistica e meno effettistica, è dunque visivamente bello in forma ineccepibile.
Tenebre fa paura, trasmette angoscia e disturba spesso.
Detto ciò, Tenebre non è però assolutamente un capolavoro, forse nemmeno un grande film. A differenza di quanto, ostinatamente e in maniera miope a causa di troppo affetto per Argento, affermano a spada tratta i fanatici a oltranza del regista de L’uccello dalle piume di cristallo.
Rivisto adesso, nonostante molte sue scene pregevoli e tecnicamente superbe, intriso com’è di maestosi piani sequenza vertiginosi e soggettive paurose in senso (a)lato e non, appare infatti spesso una fiction prevedibile e, talora, maldestra, grottescamente trash.
Tenebre è ricolmo di scene in ogni senso allucinanti e assai apprezzabili, ripetiamo, è grandemente disturbante, sanamente malato ed enormemente suggestivo, così come nella scena in spiaggia con Eva Robin’s, ma difetta onestamente di logicità e appartiene, in maniera tristemente ineluttabile, al suo periodo.
È cioè un film vecchiotto, addirittura rozzo, artigianale e casareccio, nella sua parte centrale molto bruttino e, nel suo insieme, sciocchino.
Però, nel bene o nel male, è un film argentiano al cento per cento.
E Dario Argento è, checché ne dicano stavolta i suoi detrattori, un genio. In quanto, invero non ha mai inventato nulla ma è un eccentrico, italianissimo rivoluzionario del già visto, se preferite déjà-vu, adattato a sé stesso e al suo inconfondibile sguardo.
Ispirandosi lui stesso ai maestri del passato, è il De Palma italiano e viceversa, è il re del brivido di casa nostra amato in tutto il mondo.
E il suo marchio è stato d’ispirazione a suoi contemporanei e odierni registi internazionali.
Cosicché, perfino i suoi nudi insistiti, su scenografie kitsch, della procace e rotonda Mirella Banti, hanno dato il via a epigoni straordinari e, ahinoi, anche a robaccia come Delitti e profumi con Jerry Calà ed Eva Grimaldi, soprattutto all’osceno Le foto di gioia con Serena Grandi e Sabrina Salerno.
Quest’ultimo firmato da Lamberto Bava (Demoni). Primo assistente alla regia di Tenebre..., lui, sì, imitatore pedestre.
Nel cast, Lara Wendel (La casa 3), John Saxon, l’ex moglie di Argento, Daria Nicolodi, madre di Asia Argento, Ania Pieroni, John Steiner, Christian Borromeo, Mirella D’Angelo, perfino l’ex moglie di Silvio Berlusconi, eh già, Veronica Lario.
Ora, secondo voi perché Asia Argento e Vera Gemma sono grandi amiche?
In questo Tenebre vi è o non vi è Giuliano Gemma? Allora siete tonti, cavolo!
Dunque, per concludere questo pezzo alla Falotico, per molti anni il sottoscritto fu scambiato per J.T. Leroy di Ingannevole è il cuore più di ogni cosa ma in verità vi dico che ero Marilyn Manson, poiché impazzii per il lato b di Vera Gemma di Scarlet Diva.
Comunque, fra lo storpio Chris Walken di New Rose Hotel e Willem Dafoe, non scelgo nessuno dei due. Tantomeno Asia. Lascio Asia ai suoi ex sciroccati come Morgan. Anche perché sono più bravo di lui a cantare. Come no? E questo cos’è, allora? https://www.youtube.com/watch?v=1fCPBzBCv8E
di Stefano Falotico
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