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La meccanica delle ombre

Regia di Thomas Kruithof vedi scheda film

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La recensione su La meccanica delle ombre

di supadany
6 stelle

Tff 34 – Concorso 34.

La mecanique de l’hombre è un’opera prima, ma non lo si direbbe affatto. Pur senza convincere fino in fondo, l’esordiente Thomas Kruithof dimostra di essersi documentato e di conoscere il mezzo espressivo, in più, non si può trascurare nemmeno il valore aggiunto proveniente da un cast trasversale e di estremo rilievo per quella che è una prima esperienza nel lungometraggio, ricordandoci il buono stato di salute di cui gode il cinema francese.

Da tempo disoccupato e alle prese con problemi personali, Duval (François Cluzet) accetta la prima offerta pervenutagli, proveniente da un personaggio misterioso (Bruno Podalydès), poco incline a rispondere alle sue domande.

Il suo incarico consiste nella trascrizione di alcune telefonate private che scopre riguardare personalità di spicco della politica francese; quando si trova di fronte a rivelazioni scioccanti vorrebbe tirarsi indietro ma, arrivato a quel punto, dopo quanto ha ascoltato, ogni scelta presenta un pesante dazio da pagare, tanto più quando subentra anche la polizia, nella figura del commissario Labarthe (Sami Bouajila).

 

François Cluzet

Scribe (2016): François Cluzet

   

Non è facile stare al mondo, bastano una disattenzione o un momento di debolezza per finire con le spalle al muro, nessuno arriva in aiuto e diventa più facile cadere in una trappola, tanto più se camuffata da occasione della vita. Ogni lezione acquisita negli anni può non bastare, tornare indietro presenta un alto prezzo da pagare e, quando l’intrigo cala dalla punta dell’iceberg, il singolo individuo dipende strettamente da una serie di fattori destinati a stritolarlo in una morsa fatale.

Per essere un esordio, Thomas Kruithof dimostra di possedere lucidità di sguardo ed equilibrio; costruisce la traiettoria della trama con metodo, inquadrando il protagonista con circospezione, semina precocemente indizi senza strafare, all’interno di una cornice (messa in scena) minuziosa, come può essere un appartamento deputato a luogo di lavoro asettico, spoglio e grigio.

L’aria che si respira diventa rapidamente pesante, con il silenzio interrotto da quanto comunicano le audiocassette con le intercettazioni, e la presa di coscienza deve fare i conti con una cospirazione politica.

In quest’aspetto, il coraggio di non rimanere aleatori è evidente, puntando apertamente in una direzione, per quanto l’equazione politica non porti in automatico l’altra sponda alla salvezza, viene scoperchiata una struttura piramidale, l’ansia diventa protagonista, il pericolo è sempre più reale, ormai prossimo.

Purtroppo, il climax non collima con il definitivo salto di qualità, un po’ tutto il convulso atto conclusivo è innervato da una mano improvvisamente approssimativa; sembra quanto meno improbo ipotizzare, anche solo come plausibili, alcune scelte direzionali.

Quasi un delitto (nel delitto) per un’opera che rimane comunque corposa, compatta anche se non molto appariscente, evocativa di una tensione paranoica d’altri tempi - riferendosi dichiaratamente a tanto cinema americano anni ’70 - e con un protagonista preciso e dalla grande presenza scenica qual è François Cluzet  

Quando a mancare, è l’ultimo passo verso la gloria (cinefila).

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