Regia di Duncan Jones vedi scheda film
Un barista muto si addentra nei bassifondi di una metropoli distopica alla ricerca della fidanzata, scomparsa nel nulla. Tutti gli indizi lo portano a due chirurghi folli, veri e propri macellai di carne umana.
Mute è il quarto film diretto da Duncan Jones, tratto da un suo soggetto con una sceneggiatura da lui stesso scritta insieme a Michael Robert Jonson; è stato lo stesso regista ad annunciarne le affinità con la sua opera prima, il ben riuscito Moon (2009), eppure tali vicinanze quantomeno nei contenuti sembrano davvero pretestuose, legate soltanto a un’atmosfera fantascientifica hollywoodiana classica, nel segno di Ridley Scott (là era Alien il punto di riferimento, qui è Blade runner) e di Stanley Kubrick (nel primo lavoro c’era molto di 2001: odissea nello spazio, qui forse la violenza che permea la società è figlia di quella narrata in Arancia meccanica). Francamente c’è poco da entusiasmarsi insomma per questa pellicola, ben diretta, recitata e confezionata, ma poco più che l’ennesimo baraccone tutto effetti speciali e speculazioni sociologico-filosofiche spicc(issim)e, non molto distante in questo dal Nolan di Interstellar (2014), per citare un altro titolo con cui Mute ha qualcosa a che fare. Bene quindi Alexander Skarsgard, nonostante il personaggio profondamente antipatico che il copione gli riserva (l’eroe positivo muto è pregno di una passività che non aiuta a simpatizzare verso di lui), così come Justin Theroux, Seyneb Saleh, Paul Rudd, Robert Sheehan, Daniel Fathers, Noel Clarke e tutti gli altri interpreti principali. Dedica sui titoli di coda alla memoria di David Jones, padre di Duncan, scomparso nel gennaio 2016 e meglio noto con il cognome Bowie. 3,5/10.
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