Regia di David Bickerstaff, Phil Grabsky vedi scheda film
Nel 2016, in occasione del cinquecentenario dalla sua scomparsa, la città di 's-Hertogenbosch ha allestito una mostra di un intero anno, chiedendo in prestito ai musei di mezzo mondo i dipinti e i disegni del suo cittadino più illustre, Hyeronimous Bosch, poco meno di una ventina sia gli uni che gli altri. La celebrazione di quell'evento è arrivata anche nelle sale cinematografiche per un paio di giorni con un documentario assai convenzionale in cui l'arte figurativa di quel gigante dell'immaginazione che è stato Bosch viene raccontata attraverso la descrizione delle sue opere. L'artista fiammingo di origini altolocate, vissuto a cavaliere tra il XV e il XVI secolo, scardinò i modelli pittorici della sua epoca con una sventagliata di follia che non si peritava di coinvolgere tematiche religiose. I suoi quadri, che segnano un punto di svolta dell'intera storia dell'arte, sono ricchissimi di dettagli, di scene affollate, di animali, di esseri fantastici, di gufi, di immagini violente e di scherzi percettivi. Se il documentario fornisce una buona sintesi di tanta meraviglia creativa, si rivela invece banale sul piano dell'analisi: i commenti dei tanti esperti (tra i quali il regista britannico Peter Greenaway) aggiungono poco o nulla a quanto potremmo leggere su una qualsiasi pagina di Wikipedia, peraltro in una forma cinematografica nient'affatto accattivante.
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