Regia di Colin Minihan vedi scheda film
Uno zombie movie che emerge dalla massa, sorvola il piattume e la sciatteria del sottogenere per raggiungere picchi di grande classe: visiva e narrativa. Deserto rosso sangue in un colpo solo fa piazza pulita di un decennio di inutili pellicole con patetici morti viventi. Cult!
Molly (Brittany Allen) è in viaggio, in compagnia di Nick (Merwin Mondesir) attraverso il deserto, con destinazione aeroporto. Una spaventosa apocalisse, caratterizzata dalla presenza di cadaveri resuscitati aggressivi e senza più raziocinio, ha colpito Los Angeles ma proprio durante la fuga, nel bel mezzo della Death Valley, la coppia rimane in panne con la macchina. Uno zombi (Juan Riedinger) uccide Nick ed insegue, senza soluzione di continuità, Molly. La sopravvissuta, con poche scorte, deve percorrere decine e decine di miglia sotto il sole rovente, tra tempeste di sabbia e notti stellate gelide e silenziose, sempre con il redivivo pericolosamente in prossimità.
"Le cose brutte succedono anche alle brave persone." (Molly / Brittany Allen)
Ma che bella sorpresa questo Deserto rosso sangue, film che poteva facilmente scadere nella mediocrità predominante nel genere, rappresentata dalla inflazionata produzione a base di zombie movies. Il merito va, in maggior misura, a Colin Minihan, sceneggiatore brillante e -soprattutto- regista ispiratissimo in grado di conferire al girato un taglio di ripresa innovativo ed originale (si pensi al piano sequenza con panoramica circolare nel deserto, con la protagonista che esce da un lato del campo visivo per riapparire in quello opposto). Ma una buona fetta di talento ce l'han messa anche i due bravissimi protagonisti principali: Brittany Allen in un ruolo davvero impegnativo fisicamente e Juan Riedinger, zombi dalla forte personalità, che dimostra di possedere anche un cuore e che si imprime poderosamente nelle mente dello spettatore come miglior ritornante mai apparso sullo schermo. Il soggetto sembra apparentemente banale, così come la messa in scena con unità aristotelica di tempo, luogo e azione ma la strategia utilizzata da Minihan brilla per stilizzata e ricercata composizione visiva, magnificata da una fotografia curata e pertinente, che sfrutta le ambientazioni naturali (e quasi primordiali per desolante solitudine) con esposizione di accesi contrasti cromatici che si completano (e al tempo stesso annientano) nel corso del ciclico passaggio del tempo che scandisce le due fasi del giorno (diurna e notturna). La raffinata messa in quadro di panoramiche dal tono pittorico (con ricerca di effetto ad acquarello) si abbina a sottotesti intelligenti (lo stalking ai danni delle donne, la cieca e primitiva violenza sessuale) nemmeno troppo velati nelle intenzioni come si intuisce dal dialogo (più monologo) che Molly tiene a "Piccolo", lo zombie molestatore sempre alle sue calcagna: "Lasciami in pace. Sei un fottuto stalker, lo sai? Scommetto che eri un donnaiolo prima. Tu ci godi a inseguirmi. Tu sei solo come... gli uomini che incontro nei bar. Una ragazza dice no, e l'uomo non riesce a capire il messaggio (...) Di sicuro eri un fottuto idiota quando eri in vita. Scommetto che tutta la tua famiglia era bacata. Depravato, misogino, sporco, animale... fottuto! E con il cazzo piccolo."
Deserto rosso sangue è anche un film ironico, intriso di un sarcasmo però feroce almeno quanto le efficaci (e ben realizzate) scene splatter. E non ci risparmia inusuali svolte narrative, al limite del sorprendente negli ultimi minuti. Minuti durante i quali, inattesa, esplode l'empatia tra i due sfiancati compagni (loro malgrado) di viaggio: la compassione che una madre prova per chi ha avuto un passato, dei trascorsi, molti affetti ed ora cammina come un automa, ombra di se stesso e -per riflesso ed estensione- ombra di una società fallita, caduta a causa del cinismo umano (buoni esemplari in tal senso i militari che, gratuitamente sparano alla gamba del redivivo). Applauso in coda anche per un finale nerissimo, lasciato però all'oscuro dello sguardo e -pertanto- di una ineguagliabile potenza suggestiva. Finalmente, dopo una valanga di dimenticabili e noiosi film sui ritornanti, eccone uno che ha saputo raccogliere l'essenza "romeriana" e che fa riflettere senza -però- mai lasciare in secondo piano il tema ludico ed evasivo proprio del cinema. Giustamente, quindi, acclamato vincitore allo Sitges International Film Festival, edizione 2016. Aspettiamoci altre piacevoli sorprese da parte di Colin Minihan, regista di inusuale talento e decisamente portato anche in sceneggiatura.
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