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Un sogno chiamato Florida

Regia di Sean Baker vedi scheda film

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La recensione su Un sogno chiamato Florida

di supadany
6 stelle

Torino Film Festival 35 – Festa mobile.

L’inferno e il paradiso sono più vicini di quanto crediamo, talvolta addirittura si mescolano tra loro ma senza riuscire a comunicare veramente. Sarà che ovunque c’è talmente tanta povertà da rischiare di vederla passare per qualcosa di inevitabile, uno stato che a qualcuno deve pur toccare, perché il mondo gira così. Eppure c’è una fetta sempre più ampia di popolazione che subisce le conseguenze di un degrado tentacolare, condizionando anche la vita dei più piccoli, lasciati alle loro giornate privi di una guida che possa insegnare loro le più semplici regole della convivenza, indotti a crescere sulla strada, che nel menù non prevede portate a carattere istruttivo.

È estate, in un motel abitato da famiglie economicamente disagiate, situato a un tiro di schioppo dalla magia del Disney World Resort di Orlando, vive la piccola Moonee (Brooklynn Prince), una peste che, insieme ai suoi prediletti compagni di gioco, combina un guaio dietro l’altro, nemmeno fosse una vera teppista.

Nel frattempo, sua madre Halley (l’esordiente Bria Vinaite) non ha la benché minima idea di come migliorare la loro condizione, che pare destinata ad andare incontro a un progressivo peggioramento.

In questa realtà degradata, Bobby (Willem Dafoe), il responsabile della struttura, cerca di mantenere un minimo di ordine, scontrandosi ripetutamente con situazioni al limite, che vanno affrontate adottando dei distinguo, usando spesso il bastone, ma senza scordarsi la carota.

 

Brooklynn Prince

The Florida Project (2017): Brooklynn Prince

 

In The Florida project, Sean Baker (Starlet, Tangerine) continua a solcare un percorso fieramente indipendente, raccontando una storia di ordinaria indigenza che sconfina in un luogo decentrato, fuori dal campo visivo del cittadino medio, l’ultima spiaggia per chi ha perso quasi tutto. Una frazione di mondo dove si sopravvive raggranellando quel tanto che basta per arrivare a fine giornata, senza avere la più pallida idea di come pagare l’affitto del mese in corso, figuriamoci come possa essere possibile ricominciare a costruire quelle fondamenta andate in mille pezzi.

Il punto di vista privilegiato per questa dissertazione è quello di un gruppetto di bambini di sei anni, che hanno già oltrepassato lo stadio della vivacità per addentrarsi in quello deputato al vandalismo. Ricorrendo a un linguaggio - anche gestuale - a dir poco scurrile e impossibile da associare a dei bambini, Sean Baker ne segue le gesta quotidiane, quelle marachelle che tengono in allarme l’intera zona, con Bobby - una figura tanto semplice quanto riuscita anche grazie all’apporto umano di Willem Dafoe - che da controllore obbligato ad alzare la voce ed essere minaccioso per tentare (inutilmente) di essere ascoltato, diventa un sofferente angelo custode che vorrebbe poter fare di più.

Un movimento generale chiamato a essere realista per avere un senso e che, proprio in virtù di questo motivo, non può rilasciare speranze concrete, optando quindi per una corsa a perdifiato che solo dei bambini possono rendere credibile, seguito da riprese dolcemente dinamiche e una scenografia che ha il fiore all’occhiello in elementi dai colori pastello, su tutti il motel dei disperati, il cuore architettonico del film.        

È così che The Florida project riesce a muoversi con leggerezza all’interno di spigolature apparentemente non arginabili, senza apporre sovrastrutture soffocanti, così come nemmeno linee di plot particolarmente evolute, lasciando spazio ai protagonisti, trattandoli come se fossero semplicemente delle persone reali, consentendo alle lacrime che rigano un volto di ottenere un effetto esponenziale.

Senza compiacimenti e molto sentito, pur non calcando particolarmente la mano.

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