Regia di Santiago Mitre vedi scheda film
Oggi recensiamo Il presidente (La Cordillera), diretto da Santiago Mitre, anche sceneggiatore di questa pellicola assieme a Mariano Llinás, e interpretato con grande bravura da Ricardo Darín, uno dei massimi attori argentini contemporanei.
Film alquanto anomalo che inizia, con ritmo molto lento e quasi soporifero, e via via assume, vertiginosamente, l’andamento di un giallo psicanalitico assai profondo e dai risvolti inquietanti.
L’aereo del Presidente argentino Hernán Blanco (Darín) sta atterrando in una località amena e nevosa della cordigliera delle Ande (da qui il titolo originale), ove Blanco è atteso per un importante incontro al vertice (The Summit, infatti, il titolo americano) fra i più importanti capi di Stato in pectore del continente sudamericano, fra cui l’arrogante leader del Brasile, il quale è in perenne attrito con Blanco. Tutti i primi ministri sono ospiti di un lussuoso, elegantissimo albergo incassato fra le montagne, simile all’Overlook Hotel. Blanco, intanto, ha un’amante inconfessabile giovanissima e sexy, Natalia Laje (Gabriela Pastor), giunta sul luogo, segretamente nella notte, per consumare con lui un amplesso bollente. Cito appositamente questa breve, piccante scena in quanto è cruciale nel cesellare, in pochi secondi, l’ambiguità morale del personaggio.
Nel bel mezzo di una prestigiosa intervista esclusiva, Blanco riceve una spiacevole notizia. Sua figlia Marina (Dolores Fonzi) ha avuto una forte crisi e, salva per miracolo, rimasta fisicamente illesa, pur non avendo riscontrato danni neurologici, si è chiusa nel più assoluto mutismo.
Marina ha avuto un’adolescenza difficilissima ma da circa dieci anni non accusava più crisi psicotiche e sembrava emotivamente stabile. A quanto pare la sua mente invece, per qualche ignota, imperscrutabile ragione, è franata nuovamente in maniera paurosa, sbriciolatasi spaventevolmente come neve al sole.
Blanco, ovviamente premuroso per la salute della figlia, decide di affidarsi a uno psichiatra specialista che comincia a curare Marina con un’ardita teoria ipnotica. Una pericolosa psicanalisi che forse coinvolgerà, più che Marina, Blanco stesso. E dal suo inconscio di uomo apparentemente arrivato e di successo emergeranno spettrali ricordi infantili e gli oscuri suoi celati traumi, che pareva aver rimosso, come una scossa tellurica, scuoteranno la sua anima sin a spaccare e infrangere ogni sua illusa certezza.
Splendido ed esemplificativo a tesi di questo ragionamento il suo raggelante racconto sulla volpe e il diavolo confidato alla giornalista che termina l’intervista...
Blanco, prima di poter ambire a dimostrar di essere l’uomo più potente dell’Argentina, dovrà innanzitutto confrontarsi col suo labirintico passato. Solo allora, rimosso che l’avrà, cancellatone gli spiacevoli, esiziali ricordi, potrà divenire ciò che sin da quando è nato, in cuor suo, ha sempre ambiziosamente, angosciatamente sognato e bramato con passione e avido desiderio fermissimo.
Ripetiamo, una pellicola alquanto originale, dall’inizio ingannevole e volutamente fuorviante. Che parte, appunto, cautamente come una telenovela rétro-politica alquanto noiosa per passatisti, schizzinosi altoborghesi retrivi da soffice ora del tè e quindi vira improvvisamente sul piano filmico-narrativo in un tetro, ottimamente congegnato thriller psicologico moderno. Ben cadenzato, delicatamente perturbante.
Con un Ricardo Darín pacatamente maestoso, decisamente in forma e in parte. E un piacevole cammeo addirittura di Christian Slater.
Un film inconsueto e raggelante. Il presidente, se siete stufi del solito Cinema americano di botte e spari e desiderate vedere invece qualcosa di desueto ed elegantemente suggestivo, è il film che fa per voi.
Non un grande film, sia chiaro. Ma un film diverso dal consueto. Emotivamente stimolante e intrigante. Non perdetelo.
di Stefano Falotico
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