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Come due coccodrilli

Regia di Giacomo Campiotti vedi scheda film

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LIBERTADIPAROLA75

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La recensione su Come due coccodrilli

di LIBERTADIPAROLA75
6 stelle

Ci son due coccodrilli
ed un orangotango
due piccoli serpenti, un'aquila reale
il gatto, il topo, l'elefante
non manca più nessuno:
solo non si vedono i due liocorni...

E, a questo punto c'è che "Un giorno Noè... ma chissènefrega!".

Nel recente panorama artistico multimediale italiano (UN CICLONE IN FAMIGLIA, I CESARONI, etc...) le famiglie allargate sono (e meno male!) una realtà felice quasi a sfiorare il patetico, mentre il cinema (e la letteratura) classico (TOM JONES) ci ha narrato vicende di "bastardi" (senza gloria?) che venivano cacciati dal legittimo erede. Questo bel film (ma con qualche difetto per dirsi pienamente riuscito) di Giacomo Campiotti inserisce lo schema classico in una vicenda quasi assurda (ma che è già capitata nella realtà!) di bigamia (un uomo ha due famiglie che riesce ha far scorrere contemporaneamente, mentre all'anagrafe ha sposato solo una delle due consorti, finché, alla morte di una di queste donne, deve accogliere tutti i figli sotto lo stesso tetto). Vediamo nel presente del film (1993, anno nel quale viene girato) un affermato antiquario (un ottimo Fabrizio Bentivoglio) parigino (ma nato in Italia) che deve tornare al paese dove ha vissuto con i due fratellastri e il fratellino naturale dopo la morte prematura della madre (Valeria Golino). Lì trova che la fabbrica del padre è abbandonata e l'impresa fallita causa cattiva efficienza dei primi (del quale se uno aveva, quasi, accettato i nuovi parenti, l'altro aveva sempre odiato il più grande dei nuovi arrivati). L'azione si sposta altalenante su flashback che, anche se crudelmente, ci mostrano con nostalgia gli anni settanta e ottanta, mentre nel presente lui sta meditando qualcosa, forse una vendetta? E chi sono quelle fugaci apparizioni, come la bambina nell'azienda dismessa o il ragazzo motociclista che sembra conoscerlo bene?

Un'idea che ha il pregio dell'originalità, una location (oltre la fabbrica in rovina, soprattutto la villa d'epoca sul lago di Como) struggente che porta al film, accompagnata da musiche particolari, un taglio, a volte, da thriller goticheggiante, ma forti lacune in sceneggiatura, momenti prevedibili e un finale che non si capisce se sia banale o educativo (il perdono uccide i fantasmi), compreso il particolare (insignificante) che sta alla base del titolo.

 Il regista ha idee e buone intenzioni (che si discotano dal complesso di banalità che ha caratterizzato il cinema italiano negli ultimi vent'anni) ma, all'epoca, doveva migliorare l'apporto narrativo (in futuro il suo cinema sarà comunque di qualità altalenante). Comunque un lavoro gradevole, l'autore va sostenuto a fare film!!!

Giudizio: 3 stellette e 1/2

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