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Shin Godzilla

Regia di Hideaki Anno, Shinji Higuchi vedi scheda film

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La recensione su Shin Godzilla

di alan smithee
6 stelle

Con meritato comprensibile orgoglio, i giapponesi si riappropriano di una delle loro "Creature" più rappresentative nell'ambito dell'immagonario fantastico/fantascientifico cinematografico. E puntano ad una riviviscenza del B-movie kitch ove trionfa la distruzione da minaccia nucleare. Operazione "amarcord" carina e scientemente fine a se stessa.

locandina

Shin Godzilla (2016): locandina

Con tutto l'orgoglio che si meritano, i giapponesi si riappropriano di una delle loro "Creature" più rappresentative nell'ambito dell'immagonario fantastico/fantascientifico cinematografico: il lucertolone "tossico" Godzilla, appunto, e lo fanno rivivere nel rispetto di una tradizione che ha radici lontane. E che, a partire dagli anni '50, ha creato attorno al mostro Gojira, un vero e proprio filone all'interno del B-movie tutto al risparmio e per questo kitsch al punto giusto da restare nel cuore di chi è stato ragazzo in quegli anni ormai lontani, ma anche per le generazioni successive.

Pertanto, dopo i recenti mega-prodotti americani a budget rotondo e quasi omonimi a questo, a cura di Roland Emmerich e Gareth Edwards - tanto massacrato il primo quanto osannato il secondo (a mio giudizio esageratamente in entrambi i casi, giudicando personalmente i due film non molto dissimili uno dall'altro) - ecco che il Giappone rivendica ostinatamente e con tutti i diritti, la sua creatura.

Al punto da girare un finto B-movie, o quanto meno un film non così al risparmio come quanto vorrebbe farsi credere con ostentazione quasi maniacale, oserei dire anche ossessiva.

scena

Shin Godzilla (2016): scena

scena

Shin Godzilla (2016): scena

Innanzi tutto insistendo sulla fissità catatonica di un mostro ottuso dall'occhio pallato ed ed espressivamente vuoto come una gallina, che sembra realmente un essere completamente privo di personalità, carattere e dignità, razionalità (un volto ebete da primo posto meritato nella ormai mitica "Bizarro parade" o da citazione nella "Weirdo posta" di una celebre, immarcescibile rubrica che compare da tempo immemore sulle pagine finali del mensile Ciak). Una creatura ricoperta di lava o materiale incandescente similare, che agisce solo per il fatto di trovarsi catapultata in un mondo esterno non suo, agendo con la potenza magmatica che proviene dal sottosuolo, da concause legate probabilmente al nucleare. Un essere abominevole ed infetto che probabilmente l'essere umano ha generato con la sua smania di ricerca dell'arma più potente e disastrosa. Un mostro che si muove come uno sbaglio della natura, punizione da contrappasso che si ripercuote direttamente a responsabilità e castigo dell'incauto agire umano nei confronti di fonti energetiche in grado di annientare all'istante la vita sul pianeta.

Interessante anche notare come i due registi Anni e Higuchi rifuggano più possibile l'azione in capo ad eroi umani presi singolarmente, figure eroiche quasi assenti, sostituite da dirigenti impiegati a cui vengono più che altro affidati compiti di organizzazione e di sbroglio di pratiche burocratiche da ufficio, lasciando l'intervento armato nelle mani di una alleanza americana impersonale ed indiretta che agisce con la sua tecnologia sul mostro, potente ed inetto nello stesso tempo.

Yutaka Takenouchi

Shin Godzilla (2016): Yutaka Takenouchi

scena

Shin Godzilla (2016): scena

Shin Godzilla è  pertanto, in qualche modo, un vero evento celebrativo (al di là della pagliacciata di una distribuzione concentrata in tre soli giorni a prezzi da furto e circoscritta quasi solo a grandi centri cittadini, relegando la periferia, considerata regredita e impreparata, come territorio ufficialmente non interessato o inadeguato ad "eventi" di tale portata) di un orgoglio nazionale nipponico che ha sfaccettature interessanti nella staffilata acuta in termini di denuncia ambientalistica contro le tentazioni da energia nucleare, e richiami cinefili quasi irresistibili.

Ma finisce anche, questo Godzilla, per generare entusiasmi contagiosi e incondizionati che poi lasciano, a visione completata, un po' di sentimento sospeso, una sensazione di irrisolto, come un misto tra una mezza gioia ed una semi-delusione per tutto quello che pareva potesse essere, e quello che invece, pur con una certa onestà di intenti, finisce per comunicare concretamente allo spettatore.

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