Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film
Ma "L'intrusa" è anche un film di mediazioni che riguardano tanto il narrato che la sua realizzazione. Evidenti quelle relative alla storia che attraverso il personaggio di Giovanna cerca i motivi che possano rendere accettabile agli altri la presenza di Maria, lo sono un po' meno quelle presenti nel dispositivo cinematografico messo a punto da Di Costanzo per la sua opera seconda. Documentarista tra i più importanti della nostra scuola, il passaggio al racconto di finzione è stato paradossalmente il modo con cui Di Costanzo ha salvaguardato l'indipendenza del suo cinema, permettendogli quell'imprevedibilità che ne è sempre stata la costante. Se l'esigenza di verità è rimasta la medesima, a cambiare è stato il percorso che ha consentito di raggiungere questo obiettivo. Ancora una volta è l'analisi del girato a mostrarci le scelte del regista. Dopo una breve introduzione infatti la storia si sviluppa utilizzando un incipit visibilmente artificiale nella sua costruzione.
La scena, seppur senza la spettacolarità di altri contesti, è segnata dall'improvvisa irruzione della polizia nell'istituto e dalla successiva cattura del killer di fronte allo sguardo esterrefatto di Giovanna e dei suoi colleghi. Di Costanzo inizialmente forza la realtà, la manipola fino a che è possibile per portarla nella sua direzione (poiché prima di quell'evento nessuno sapeva che Maria fosse la moglie del pluriomicida) ma da lì in avanti procede in senso inverso, smantellandola, passo dopo passo, dalle sovrastrutture che le aveva imposto. Per capire come ci riesca ci si potrebbe aiutare rifacendosi alla leggerezza dello strumento cinematografico (macchina a spalla, luci essenziali, libertà di movimento all'interno dell'inquadratura, attori non professionisti etc) ma ciò che davvero fa la differenza sono i momenti dedicati ai riti collettivi, quelli in cui la spontaneità di adulti e bambini si fonde a meraviglia con la fenomenologia del lavoro quotidiano e delle attività (ludiche e non) organizzate dai volontari per animare i pomeriggi dei loro ospiti. Un coagulo di anarchia controllata di cui Di Costanzo si serve per dare forza - drammaturgia - e credibilità narrativa ai contenuti di una marginalità economica, sociale, culturale (dei frequentatori del centro, dell'intrusa e dei suoi figli come pure dei volontari, lasciati da soli di fronte alle loro responsabilità) che ha il solo risultato di dividere gli umiliati e gli oppressi, di mettere le vittime una contro l'altra. Senza dimenticarsi della consistenza dei personaggi, a cui Di Costanzo riesce a donare una centralità tanto più potente quanto minore è la retorica che ne manifesta la loro presenza. Prova ne sia la performance di Raffaella Giordano (ballerina e coreografa, qui alla prima prova d'attrice) a cui bastano poche battute per impossessarsi del corpo dolente ma battagliero di Giovanna. Un capolavoro interpretativo che la candida alla vittoria di categoria nei David di Donatello della prossima stagione.
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