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Il silenzio

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il silenzio

di vermeverde
9 stelle

Il Silenzio conclude la cosiddetta trilogia del “silenzio di Dio” di cui fanno parte anche “Come in uno specchio” e “Luci d’inverno”, ed è caratterizzato da un’atmosfera cupa e opprimente, in cui più che con le parole le protagoniste si esprimono con sguardi e gesti, ed anche la musica è extradiegetica, fino alla deflagrazione dei contrasti latenti

Il tema del silenzio di Dio è un tema religioso antico, di cui si hanno tracce già nell’Antico Testamento, ed è tragicamente esplicito nell’invocazione di Gesù crocifisso “Elì, El’, lamà sabactani?” cioè “Dio, Dio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo, 27.46; Marco 15.34). L’argomento è esaminato in un ottica diversa anche in teologia: lo pseudo-Dionigi l’Areopagita infatti sostiene che la conoscenza di Dio può essere affermativa o negativa, questa culminante nel silenzio. Nel film il tema non è mai esposto direttamente, né si nomina mai Dio e nemmeno se ne fa riferimento, ma è proprio la sua assenza che dà risalto all’intreccio: Bergman affronta la questione dal punto di vista terreno di due sorelle che non vedono e non sentono la presenza di Dio in questo mondo ma che sono intimamente tormentate e insoddisfatte per la mancanza di valori e di certezze su cui fondare la propria vita.

Il silenzio è anche quello vero e proprio dei personaggi che non comunicano fra loro (le prime parole sono pronunciate dopo 8 minuti dall’inizio) o per ritrosia o perché  parlano lingue incomprensibili gli uni agli altri: è una potente metafora che sottolinea come tutti siano in qualche misura estranei fra loro. Sono gli sguardi ed i gesti che qualificano i sentimenti delle protagoniste. L’atmosfera opprimente ed anche vagamente minacciosa è data anche dalle riprese claustrofobiche nelle stanze dell’albergo e nei suoi labirintici corridoi e dalla presenza di carri armati visti fugacemente dal treno o circolare nelle vie cittadine.

Le due sorelle, Ester la maggiore e Anne, hanno caratteri antitetici e complementari. Ester è un’intellettuale dedita interamente al proprio lavoro di traduttrice perché ha scelto di escludere gli uomini dalla propria vita essendo disgustata dalla loro fisicità e sorveglia la sorella verso la quale sente in qualche modo la responsabilità di frenarne gli sbandamenti e scarica il suo desiderio di dare e ricevere affetto su Johan, il bambino di Anne. Trovo molto complesso e ambiguo l’atteggiamento di Ester verso Anne: è come una perversa combinazione di affetto, invidia, gelosia e forse di attrazione sessuale.

Anne, invece, cerca di placare l’insoddisfazione della propria vacuità sentimentale (non riesce ad essere affettuosa nemmeno con Johan) sforzandosi di placare l’inquietudine interiore cercando distrazione all’esterno, nella caotica città e seducendo il cameriere di un bar: è sintomatico che consideri questi come un puro oggetto di piacere dichiarando che “Mi piace stare con te. E mi piace anche che non ci si capisca”, con cui si palesa il desiderio di sfuggire dall’interiorità dei sentimenti. Anne usa il sesso come una droga per storsi ma senza riceverne appagamento e si rivolta duramente contro Ester che mostrandole il dispiacere per i suoi comportamenti trasgressivi la mette di fronte alla sua coscienza ed il confronto le è così insopportabile che la allontana sprezzantemente da sé.

Come contraltare alle due sorelle, viste come due diverse manifestazioni della negatività nell’affrontare la vita, c’è il bambino Johan che nella sua ingenuità e innocenza cerca comunque l’affetto della mamma e della zia e tenta di rapportarsi con il mondo esterno e con le persone che incontra dimostrando un desiderio di comunicare e di capire anche chiedendo alla zia di insegnargli qualche parola della lingua sconosciuta. Anche il cameriere dell’albergo ha un atteggiamento positivo, di simpatia verso Johan e di compassione verso Ester che accudisce e con cui riesce ad avere compartecipazione alla sua sofferenza ed un minimo di comunicazione e comprensione reciproca (la musica di Bach, qualche parola).

Le due attrici protagoniste (Ingrid Thulin per Ester e Gunnel Lindblom per Anne), spesso inquadrate in primo e primissimo piano sono sottoposte ad un vero tour de force, dovendo manifestare stati d’animo complessi e sottilmente diversificati soprattutto con le espressioni del volto e con i gesti, che superano splendidamente dimostrando la loro grandezza di interpreti.

Il film, nonostante la sua ostica profondità e il suo pessimismo, è un capolavoro sia per la capacità del regista di rendere un’atmosfera carica di tensione, sia per la bellissima fotografia in bianconero carica di sfumature, sia per merito della straordinaria interpretazione delle attrici.

 

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