Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Ultimo film della trilogia del “Silenzio di Dio” di Bergman, da lui stesso volutamente composta, e diciamo che il titolo ed i contenuti sono pienamente in linea con il titolo di questo film. Un film che in Italia fu tagliato per ragioni di censura ed in accordo con lo stesso regista; una pellicola in bianco e nero, genere più che amato ed in linea con il modo preferito di vedere il cinema dallo stesso regista, dove ne emergono scene altamente significative che la fotografia le graffia in maniera più che significativa. Il pensiero intensamente teologico di Bergman viene da una educazione ed una infanzia che deriva da un padre che era pastore luterano, e che la sua stessa nascita fu segnata dal pensiero di morte, dato che nel periodo che nacque, 1918, fu caratterizzato dalla influenza mortale detta spagnola, di cui furono vittime gli stessi genitori, quindi il pensiero della morte legato alla religione ed all'esistenza di Dio fu un pensiero dominante che condizionò i suoi primi anni di vita, marchiando il suo pensiero. L'esistenza di Dio è un tema che con questo film viene trattato, partendo dai difficili rapporti fra gli uomini, dall'impossibilità di comunicabilità, se non addirittura di intolleranza ed indifferenza. Il rapporto fra le due sorelle che si approcciano alla vita in maniera completamente diversa, esemplifica questo pensiero in maniera forte e drammaticamente giusta; i simboli che appaiono nel film sono criptici, ma con uno sguardo più incisivo si raccolgono tutti ed in maniera giusta ed efficace. In tutti e tre i film questo silenzio è presente, gli uomini davanti al grande dolore della morte si trovano soli, la paura di non essere capiti, compresi e più che altro confortati dà quella disperazione che lo stesso Gesù gridò in punto di morte sulla croce. Siamo nei primi anni degli anni '60, ma già la crisi sulla presenza di Dio è presente, il bisogno di sentirlo vicino e quasi toccarlo, per cui la fede non è sufficiente a mantenercene la presenza ed è da questa crisi che nasce il concetto del Dio che è Morto. Il film ci dipinge il vuoto fra gli esseri umani, la mancanza di sentimento ed affetto che ci renderebbe più efficacemente protetti verso il vuoto ed il silenzio che ci si propone; due sorelle che non riescono ad avvicinarsi neanche davanti alla morte, ma che si consolano con fattori provvisori che sono l'alcool o il sesso, rivolgendo i loro sguardi a persone estranee di cui non capiscono neanche il linguaggio. Il mondo da cui sono attorniate le nostre protagoniste è un mondo con le fondamenta nemiche, la guerra è a contatto stretto con il presente, nessun rapporto è indirizzato verso la comprensione, ma la guerra si estende anche nell'intimo delle persone; Dio non c'è o se c'è assiste solo in maniera estranea, quasi un concetto leopardiano di solitudine cosmica. Il sesso che dovrebbe essere il collegamento dei sentimenti viene affrontato in maniera diversa, ma da ambedue le parti solitariamente; il finale, quello originale, non quello italiano, non dà nessun senso di speranza, ma solo il proseguimento nel deserto della solitudine.
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