Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Con Bergman l’incomunicabilità diventa un’ermetica poesia che, però, vive intensamente la ricchezza d’espressione del reale. Non c’è, infatti, modo più drammaticamente efficace di segnalare il vuoto che indugiare su tutto ciò che gli sta intorno, su tutto il resto che chiede disperatamente di essere completato da quell’unico dettaglio mancante. In questa storia, la grande assente è la parola che si trasmette a voce e si ascolta da vicino, prestando l’orecchio ai sussulti sonori del cuore: il mondo appare come una babele, in cui tutti sono stranieri e nessuno comprende l’altrui lingua, si scrive, si disegna e si gesticola per farsi capire, e intanto la malattia, la paura e l’angoscia soffocano in gola le frasi che provengono dall’anima. Il gusto, l’olfatto, il tatto, la vista celebrano un tripudio dei quattro sensi che, però, nella vana attesa del quinto elemento, si disperdono senza poter chiudere il cerchio su alcun significato. Il discorso parlato, anche quando riesce ad emergere, a farsi faticosamente strada in mezzo a questo caos silenzioso, è sempre perdente, perché elusivo, menzognero, fuorviante, capace solo di ravvivare rancori ed alimentare sospetti. La comunicazione verbale è così ridotta ad un insieme di rumori inarticolati, che forniscono indizi lacunosi, sollevando domande a cui nessuno può dare una risposta: il trambusto dei cingolati nella strada, il rombo degli aerei nel cielo, i clamori scimmieschi degli attori nani sono le manifestazioni emblematiche di una generale afasia, che rispecchia fragorosamente la vita, senza però arrivare a spiegarla. Il silenzio è un quadro crepuscolare, che si direbbe pervaso di un espressionismo in disarmo, ridotto a frammenti ombrosi, a residui di simboli sparsi alla deriva. In questo film, la spigolosa asprezza delle immagini riproduce una realtà tranciata dai fendenti dei perché irrisolti; e negli angusti spazi rimasti intatti in mezzo alle rovine, una taciturna umanità si contorce, tra gemiti e sospiri, non si sa se di piacere oppure di dolore.
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