Regia di Jean Grémillon vedi scheda film
La padronanza del linguaggio e della tecnica cinematografica del regista è innegabile. Usa i mezzi tecnici più avanzati dell’epoca, ad esempio certe carrellate complesse (soprattutto quando riprende la natura) per creare geniali visioni insolite, ma anche mezzi semplici per avere immagini sfuocate e dai contorni poco definiti...
Jean Grémillon 1901 – 1959, l’autore di Tempesta (Remorques, 1942) con Jean Gabin, Michèle Morgan, Il cielo è vostro (Le ciel est a vous, 1943) con Charles Vanel, Madeleine Renaud, Zampe bianche (Pattes blanches, 1949) giusto per ricordare qualche titolo, cineasta avanguardista, “il più umile tra i grandi registi francesi”, dopo un inizio come documentarista (passione che si nota anche in questo suo film e che riprese in pieno alla fine della sua carriera), elabora un cinema dinamico per l’ estrema mobilità del tempo e dello spazio e, entusiasta artista completo, sfrutta la conoscenza della musica per dare ritmo e suono alle immagini. I protagonisti dei suoi film sono spesso uomini deboli, infelici, indecisi per colpa del passato che ritorna, a volte travolti o da donne senza scrupoli che non portano felicità (lavorò spesso con Madeleine Renaud) o dalla forza distruttrice della natura. Per la sua continua ricerca della perfezione ebbe problemi produttivi, lavorativi, distributivi e finì per rimanere in penombra. Ora è relegato in un immeritato oblio!
Un uomo (Geymond Vital) saluta la sua donna e insieme al padre (Paul Fromet) con la barca va a svolgere il lavoro di guardiano di un faro che illumina la costa frastagliata della Bretagna, bagnata da un freddo mare pericoloso anche per le maree. Assistiamo alla reale rappresentazione del lavoro quotidiano che svolgono i guardiani tra le stanze piccole, soffocanti, collegate da una disturbante scala elicoidale. Il giovane non sta bene, è stato morso da un cane rabbioso, la sua mente vacilla e fa strani sogni. Uno dei due, a turno, sta nella stanza del faro che durante la notte deve sempre essere acceso e con la forte luce che ruota continuamente anche all’interno si dorme male. Intorno c'è il mare, col suo rumore forte e incessante, “che, instancabile, si lancia ad assalire il faro” (Jacques Feyder, lo sceneggiatore del film) preda della furia della natura che si scatena all’improvviso. Dopo qualche giorno il guardiano malato, sempre più angosciato, allucinato, nonostante tenti di dominarsi, impazzisce del tutto mentre fuori c’è una tempesta e non vuole accendere la luce del faro. Una barca rischia di infrangersi sugli scogli, le donne dei marinai nelle case pregano perché vedono il faro spento e attendono con ansia il ritorno dei loro uomini, allora il guardiano anziano...
La padronanza del linguaggio e della tecnica cinematografica del regista è innegabile. Usa i mezzi tecnici più avanzati dell’epoca, ad esempio certe carrellate complesse (soprattutto quando riprende la natura) per creare geniali visioni insolite, ma anche mezzi semplici per avere immagini sfuocate e dai contorni poco definiti, ombre e luci affascinanti, magiche e ipnotiche, come quelle che rimbalzando dentro il faro ci ricordano la lanterna magica antenato della proiezione cinematografica. Ma anche scintillanti inquadrature e scenografie distorte come la mente del guardiano, la narrazione frammentata, il montaggio alternato, e pure la recente musica eseguita dal vivo, più che altro suoni sperimentali ossessivi e ripetitivi davvero sorprendenti fanno di questo film un “capolavoro” (Sadoul, il dizionario dei film) “saggio di cinema puro di forza rara” (il Mereghetti, che gli attribuisce le 4 stellette), magari un po’ ostico ma appassionate che vale la pena di vedere e studiare, comunque degno di miglior sorte (come il suo sfortunato autore morto a 58 anni)!
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