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Beata ignoranza

Regia di Massimiliano Bruno vedi scheda film

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Fanny Sally

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La recensione su Beata ignoranza

di Fanny Sally
4 stelle

Argomenti e attori sprecati a causa di una sceneggiatura impacciata e insipida.

Ernesto (Marco Giallini), serioso, colto e saccente professore di letteratura italiana, è totalmente negato con la moderna tecnologia, tanto da non possedere neanche un pc, Filippo (Alessandro Gassmann) al contrario, pur insegnando matematica, è un tipo disordinato, egocentrico e sbruffone, incapace di stare lontano dai suoi account social. I due, oltre a ritrovarsi ad essere colleghi nello stesso istituto, sono stati in passato anche rivali in amore e, pur essendo cresciuti insieme, non si frequentano più da anni, avendo scoperto di avere una figlia in comune: Nina è stata cresciuta da Ernesto con la moglie, ma il suo padre biologico è in realtà Filippo. La ragazza, oramai donna in attesa di un figlio, li coinvolge come protagonisti di un documentario che illustri pro e contro del mondo digitale e virtuale.

 

Massimiliano Bruno dopo l’ambizioso e drammatico “Gli ultimi saranno gli ultimi” fa un passo indietro e torna a dirigere una commedia dai toni farseschi incentrata su un tema più che contemporaneo, in cui però si lascia prendere dalla frenesia di raccontare e trattare troppi argomenti, senza riuscire ad amalgamare in maniera scorrevole, divertente e compiuta i tanti ingredienti cui attinge. Comicità e sentimento, riflessione e risata, critica e satira, hanno un sapore poco autentico e immediato, quando non addirittura insipido e stantio. A risentire della scarsa attinenza al reale sono specialmente le caratterizzazioni monodimensionali e fortemente antitetiche dei due protagonisti, rivali per principio e per conseguenza, che alla fine divengono, come prevedibile, buoni amici – ma non troppo. Non sono migliori i tanti personaggi di contorno impersonati da attori più o meno noti del piccolo e grande schermo, macchiette per lo più, cui vengono affidate battute e interventi distensivi che non sempre vanno a segno, a causa di una scrittura confusa e impacciata, che inficia anche le prove attoriali.

 

Nel complesso si sorride davvero poco e non arriva mai quella riflessione intelligente, spiazzante e inaspettata che ti faccia rivalutare la visione.

La schiavitù rappresentata dalla dipendenza verso i mezzi di comunicazione moderni viene trattata in maniera superficiale e strumentale per raccontare alla fine della solfa, una classica storia di paternità e famiglia, anche questa però sommersa dai troppi elementi messi sul fuoco con poca armonia.

 

Appare già tutto vecchio, visto, sentito, scontato.

Bocciato.

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