Regia di Salvo Ficarra, Valentino Picone vedi scheda film
Scontando le conseguenze politiche di un’inchiesta della Guardia di finanza, il sindaco uscente di un paesino siculo perde le elezioni comunali in favore di un incorrotto insegnante che promette onestà e cambiamento. Tuttavia la cittadinanza, totalmente abituata ai piccoli privilegi garantiti dall’opportunismo generale, non sembra apprezzare la ventata di legalità e decide di liberarsi del primo cittadino a tutti i costi. Dopo essere tornati alla dimensione regionale che meglio corrisponde alle esigenze delle loro maschere antitetiche, Ficarra e Picone sfruttano il recupero della chiusura locale per aprirsi ad una narrazione nazionale come nessuno tra gli altri comici di matrice televisiva sbarcati al cinema. Pur con la solita eccezione del caso a parte Checco Zalone, il duo è il solo oggi, nell’ambito del genere più abusato dal sistema produttivo italiano, a tentare di battere una strada non lontana dalla tradizione italiana benché con la consapevolezza della sua irripetibilità.
Ciò che stupisce de L’ora legale è l’assenza di compiacenza nei confronti del coro di personaggi, compresi i due protagonisti: lasciano un accenno di ipotesi grottesca nelle facce del popolo, senza rinunciare all’impianto dialettale, però Ficarra e Picone non intendono condannare l’atteggiamento della gente o moraleggiare con presunzione, ma fare umorismo sulle dinamiche più elementari del populismo. Riuscendo laddove peccava l’Albanese di Qualunquemente: nel divertire in una visione ampia al di là dello sketch, nel far ragionare senza il dovere dell’indignazione moralista. Una solare ed acida favola nera che non a caso i due hanno scritto, assieme al sodale Fabrizio Testini, con i rampanti Edoardo De Angelis (Mozzarella Stories, Indivisibili) e Nicola Guaglianone (Lo chiamavano Jeeg Robot), manifestando un’indubbia e legittima ambizione (testimoniata anche dalla densa e raffinata partitura di Carlo Crivelli, altro collaboratore di fiducia). È, d’altronde, uno dei più interessanti film italiani popolari sul gentismo, uno dei fenomeni contemporanei scioccamente meno raccontati. Come attori, i due, impegnati in ruoli completi, riescono con saggezza a sacrificare l’ego straripante di altri comicattori (leggi: Siani) per spartirsi la scena con una pletora di ottimi caratteristi, con note di merito alla ricchezza recitativa di Leo Gullotta (prete banderuola) e al professionismo intramontabile di Antonio Catania e Tony Sperandeo. Il miglior film della coppia e finora la miglior commedia nostrana della stagione.
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