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L'ora legale

Regia di Salvo Ficarra, Valentino Picone vedi scheda film

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La recensione su L'ora legale

di Spaggy
8 stelle

A Pietrammare, ridente paesino siciliano, si avvicina il momento delle elezioni. Il sindaco uscente Patanè, simbolo di una politica che richiama metodi e abitudini da Prima Repubblica, trova uno sfidante nel progressista Pierpaolo Natoli, un professore che con i suoi ideali e il suo rispetto per le regole rappresenta il nuovo che avanza. La campagna elettorale è ovviamente impari: Natoli è considerato perdente in partenza. Il caso, però, opera affinché in paese nasca il desiderio di un forte cambiamento rispetto al passato e, a sorpresa, Natoli viene eletto primo cittadino. Coincidenza vuole che Natoli sia il cognato dei due gestori di un piccolo bar in piazza, Salvo e Valentino, che si sono particolarmente esposti in campagna elettorale. Mentre Valentino è rimasto tra le fila del cognato, Salvo ha parteggiato con fervore per lo sfidante, aiutandolo a mettere in atto il suo sistema clientelare. L’obiettivo del resto è noto sin dall’inizio: Salvo spera in una concessione edilizia che permetta al suo piccolo bar di costruire un gazebo in piazza.

A Pietrammare il vento del cambiamento porta con sé anche una rivoluzione socioculturale inaspettata. Moderno riformatore, Natoli si muove in nome dell’onestà e delle regole facendo sua la lotta contro l’abusivismo edilizio, il lassismo delle passate amministrazioni e la cattiva gestione della res pubblica che ha ricevuto in eredità. Via allora i parcheggiatori abusivi, la sosta selvaggia nella piazza del paese, le case e i ristoranti costruiti sul mare. Spazio invece al pagamento delle tasse come quella sui rifiuti urbani e sull’Imu, al ripristino del servizio di vigilanza urbana, alla chiusura di un petrolchimico altamente inquinante, alla raccolta differenziata e al rispetto delle regole. I compaesani, dapprima promotori del cambiamento, si ritrovano così da un giorno all’altro a fare i conti con una realtà inattesa e, in un crescendo gattopardiano, tutti si convincono che si stava meglio quando si stava peggio, rimpiangendo il clima di disordine urbano e di menefreghismo a cui erano abituati. A dirigere le fila dello scontento popolare e ad alimentarlo con sedute da riunioni massoniche è il parroco del posto, padre Raffaele, che con l’avvento di Natoli ha visto la sua attività di locandiere (gestisce anche un bed & breakfast) compromessa.

In breve tempo, anche Roma e il governo centrale prendono a cuore le sorti di Pietrammare: che fare se tale clima di legalità si estendesse a tutta Italia? Che ne sarebbe della classe politica? Per evitare il peggio, un enigmatico emissario del governo arriva nella sempre più esasperata cittadina, portando con sé atteggiamenti e modus operandi tipici di quella gestione misteriosa degli affari pubblici che da sempre ha riempito l’Italia di misteri. Agli sprovveduti Salvo e Valentino, colpiti anche loro da tasse e dinieghi di concessioni, toccherà cercare di risolvere la situazione e spingere il cognato alle dimissioni.

 

Con L’ora legale Ficarra e Picone firmano la loro commedia più corale e sociale. Con oltre 100 attori parlanti in scena, i due comici palermitani costruiscono l’affresco di una qualsiasi cittadina italiana chiamata a passare dalle parole ai fatti. In un momento storico in cui tutti ci si interroga sulle possibilità di uno sperato cambiamento, Ficarra e Picone mostrano una delle possibili conseguenze che il cambiamento può apportare sottolineando come la voglia di riscossa debba partire necessariamente dal basso e non dall’alto. Se è vero che votando ogni cittadino esprime la volontà di dirigere le sorti del paese in cui vive, è anche vero che poi deve fare i conti, nel bene o nel male, con la sua scelta. Per tutti noi, risulta facile indignarsi per tutto ciò che non va nelle nostre amministrazioni, risulta semplice linkare un’inchiesta giornalistica sulle magagne pubbliche e risulta altrettanto comodo fare la rivoluzione con il solo pensiero. L’agire, molto spesso, rimane un’utopia o un pensiero ipotetico di terzo grado. E non si tratta di una condizione tipicamente siciliana: è uno status quo di cui è vittima l’intera Italia. Siamo davvero sicuri di essere pronti alle conseguenze del cambiamento? Siamo davvero sicuri di voler pagare tutte le tasse senza aprir bocca o lamentarci? Siamo sicuri di voler perdere la nostra casetta sul lungomare? Siamo pronti ad accettare l’insieme di regole di base del buon cittadino? Quante volte invece abbiamo sbraitato contro quel regolamento comunale o aziendale che ci complicava l’esistenza? Quante volte abbiamo maledetto i nostri sindaci per le zone a traffico limitato o per la chiusura di quell’impianto (fuori norma) in cui lavorava quel lontano parente? Come ci sentiamo ogni volta che apriamo una delle poco invidiabili buste verdi che ci ingiungono un pagamento?

Da sempre attenti ai dialoghi e alle situazioni comiche, Ficarra e Picone con L’ora legale seguono il solco della commedia civile (ma sarebbe meglio definirla civica) intrapreso con Andiamo a quel paese. Non pensano agli incassi o alla commerciabilità del film e assurgono al ruolo di autori con la a maiuscola. Mentre nel loro precedente film offrivano una soluzione in piccolo alla crisi che impera in Italia, in L’ora legale ragionano in grande e tirano in ballo i massimi sistemi senza perdersi in vuoti giri di parole. Il clima che domina la pellicola è quello generato da una comicità dolceamara, quel tipo di comicità che porta con sé acute domande a cui chiunque è chiamato a rispondere: non è forse la riflessione uno degli aspetti su cui si basava la commedia classica?

L’interazione tra i due attori è quella oramai collaudata da tempo: alle follie di Ficarra, rispondono la calma e la “razionalità” di Picone fino al momento in cui, in maniera inedita, anche Picone vede cambiare il suo volto e assumere connotazioni da “antagonista”. Sovvertendo la classica abitudine per cui gli attori protagonisti devono necessariamente interpretare anche i protagonisti della storia raccontata, Ficarra e Picone scelgono di essere i guastafeste, si trasformano in ricattatori anonimi con metodi imparati dai film di mafia e diventano i malamente della situazione. Tra ripicche e intrighi, diventano la mano del paese e gli artefici di un finale che non lascia adito a interpretazione. Del resto, sono anche i portatori sani dell’immagine dell’uomo comune, quella specie biologica che sembra non essere stata toccata dall’evoluzione e che tra Barabba e Gesù sceglierebbe sempre Barabba. Si dirà che il messaggio veicolato è amaro ma lo si dirà semplicemente perché si chiudono gli occhi sulla realtà circostante e su quel mondo che non siamo in grado di rivoluzionare.

Gli argomenti da commedia sociale (à la Germi, per intenderci), i rimandi alla palermitanità (ottima la citazione da Via Castellana Bandiera quasi sui titoli di testa), il richiamo a I due onorevoli di Franchi e Ingrassia e l’ombra nascosta di Guareschi (il binomio Natoli/padre Raffaele non ricorda forse la rivalità tra Chiesa e Stato ben rappresentata da Don Camillo e Peppone?) rendono L’ora legale un prodotto atipico nel panorama italiano attuale in cui pochissimi osano nella scrittura. In un momento produttivo in cui tutti – tranne rare e fortunate eccezioni – sembrano seguire un canovaccio prestabilito senza un barlume di innovazione, L’ora legale si affida invece al sacro potere della scrittura, posando su un soggetto in cui (quasi) tutto è al suo posto, nonostante un fisiologico calo di ritmo sul finale (più da dramma irrisolto che da commedia), e su una sceneggiatura a cui collaborano nomi come Edoardo De Angelis (l’autore di Perez. e Indivisibili) e Nicola Guaglianone (il “papà” di Lo chiamavano Jeeg Robot).

Da un punto di vista tecnico, inoltre, occorre sottolineare come L’ora legale goda a pieno della fotografia di Ferran Paredes, in grado di rendere quasi irriconoscibile Termini Imerese, la cittadina siciliana che ha ospitato le riprese del film, e di far dimenticare quella patina di amatorialità che spesso accompagna i titoli destinati al grande pubblico. Per intenderci, Paredes ha firmato la fotografia tra gli altri di Zoran, il mio nipote scemo, Monitor, Indivisibili e della (sciaguratamente) bistrattata serie tv Non uccidere. Per non parlare delle musiche inedite di Carlo Crivelli, con cui Ficarra e Picone tornano a collaborare dopo l’ottima esperienza di Andiamo a quel paese.

A Ficarra e Picone, infine, va riconosciuto anche il merito di saper mettere insieme ancora una volta un cast artistico credibile, che pesca spesso nomi poco conosciuti da affiancare ad altri ben noti. Se Tony Sperandeo (e il suo sardonico sorriso) e Leo Gullotta sono sempre delle garanzie, i due puntano su Vincenzo Amato, attore palermitano avvezzo più a ruoli drammatici che a quelli comici, per la parte di Natoli (il cui cognome richiama inevitabilmente il ben più noto scrittore Luigi, figlio di una famiglia di risorgimentali). Conosciuto principalmente per essere stato il marito di Valeria Golino in Respiro, Amato ha fatto carriera soprattutto all’estero, negli Stati Uniti in primis, prendendo parte a innumerevoli serie televisive (Elementary, The Good Wife e Boardwalk Empire, su tutte) e ambiziosi progetti (leggasi Unbroken). Dal teatro arrivano poi i nomi di Ersilia Lombardo, Alessia D’Anna, Eleonora De Luca (che ricorda nei tratti e nei colori una giovanissima Sandra Bernhard) e Mary Cipolla, la cui battuta “Non perdiamo la calma: ammazziamolo” a fatica si dimentica.

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