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Persona

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Persona

di inthemouthofEP
10 stelle

Sublime.

Ci sono dei momenti nella nostra vita in cui non possiamo non rimanere devastati. Ci sono dei momenti in cui le nostre più irrazionali paure si mescolano a tutte quelle certezze su cui ci fondiamo fino a farle sprofondare, fino a farci crollare, fino a distruggerci senza lasciarci possibilità d'appello.

E anche se lo scontro avviene tra due altre persone, questo può essere così dirompente da travolgerti come un fiume in piena, un'esplosione dionisiaca di emozioni, rimorsi, pianti e terrori che non può risparmiare lo spettatore, specie quando qualcuno a distanza di sessant'anni ti guarda dall'obiettivo di una macchina fotografica e ti scatta una foto per trasportarti con veemenza all'interno della vicenda, e renderti protagonista allo stesso tempo attivo e passivo dei colpi inferti dalle due sfidanti, dei colpi che non mirano solo al costato dell'una o dell'altra, ma colpiscono dritto al cuore tutti gli uomini che abitano questa Terra. Perché tutti gli uomini sono persone e tutte le persone non sono altro che maschere assortite alla bell'e meglio in un mondo di attori più o meno in parte.

Persona in Latino vuol dire proprio questo: maschera.

E sembra averlo capito Elisabeth, famosissima attrice che, immersa nel pathos catartico dell'Elettra di Sofocle, capisce qual è la sorte di ogni essere umano. Sfoggiare, ostentare emozioni come su un palcoscenico, senza poi sentire nulla di quello che si vuole essere. Si è accorta che la vita è teatro, che tutto è una finzione, più o meno riuscita, "perché ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità, ogni sorriso una smorfia". E di fronte a questa consapevolezza Elisabeth non può non ridere. 

Ma lei vuole essere, non sembrare di essere, e si rinchiude al riparo dalla vita in un'atarassica apatia costellata da un silenzio impenetrabile. Non vuole più parlare. Vuole solo stare lontana dal mondo, dagli uomini, dalle maschere. Vuole vivere nascosta nella più pura tranquillità, ora che ha capito cosa vuol dire l'effimero, cosa vuol dire il caduco, cosa vuol dire vivere senza un perché recitando tragedie che esaltano le emozioni. Ma se è l'attrice stessa che non trova più un senso alle emozioni, a cosa serve recitare? A cosa serve vivere?

No, il suicidio non è contemplato. Troppo disonore. Ma vivere senza vita, spogliandosi del mondo e degli uomini e rimanere dentro di sè, questa potrebbe essere la soluzione. Niente più apollineo, niente più dionisiaco. Solo silenzio.

Le uniche emozioni che fa trapelare la giovane attrice sono due: un riso incontenibile (quando sente una commedia alla radio o capisce comunque di trovarsi davanti a una sceneggiata) e una tristezza mista alla paura e all'atterrimento più completo (quando si ricollega alla realtà e alle tragedie che devastano il mondo).

E per complicare la (non) vita della nostra attrice arriva un'infermiera, Alma, del tutto diversa da lei: bionda, capelli corti, loquace, crede che esista un Dio, che tutto abbia uno scopo, pensa al marito, ad avere dei figli e non sembra lamentarsene. Non si fa tanti problemi, a differenza di Elisabeth. Alma sta bene.

O almeno questo è quello che sembra.

Trasferitesi in riva al mare, nella più totale e destabilizzante solitudine, scopriamo perché il caso le ha riunite tutte e due su quelle rive battute dalla marea (ma poi, come possiamo affermare l'esistenza del caso?): loro due sono troppo simili per stare lontane l'una dall'altra, ma troppo forti per stare l'una vicina all'altra. 

E così una magnetica attrazione le avvicina, fra racconti di orge passate e di aborti, l'amore presente, un amore omosessuale che si profila all'orizzonte e che ammalia... ma qualcosa barcolla, e la pellicola si ferma, spezzata a metà, e il gioco di guardie e ladri può finalmente svelarsi in tutta la sua sconcezza: Elisabeth ferisce Alma nell'anima e quest'ultima si impegna per vendicarsi, portando la pellicola a un livello di tensione e di terrore che raramente vediamo.

La realtà portata alle estreme conseguenze e che trova il suo centro all'interno di un film che si alimenta a mo' di pellicola e di immagini dall'inconscio, come vediamo all'inizio e alla fine. E' tutto un film, ma colpisce allo stomaco come una fucilata.

Elisabeth e Alma, anche grazie anche alla superba bravura di Liv Ullmann e Bibi Andersson, si compenetrano e si divorano l'un l'altra, divise tra la sconcertante carnalità dei loro volti e una fotografia pazzesca che esalta i primi piani, che a un tratto lascia i corpi al buio per farli risaltare contro lo sfondo totalmente bianco e in un altro divide un volto in due per indicare l'eterna lotta tra Bene e Male all'interno delle nostre protagoniste.

E il tutto devasta, sì, anche perché a lungo andare Elisabeth e Alma si confondono, tanto che, in un caos di identità sempre più pulsante, sembrano divenire la stessa persona.

Sono veramente la stessa donna? Oppure è tutta un'allucinazione prodotta da due personalità così forti ma alla fine così deboli? Quali scene fanno parte di un sogno, e che cos'è realmente la veglia?

E perché no, Alma potrebbe essere la parte che Elisabeth vuole annientare di se stessa. E così l'attrice si diverte all'inizio a studiarla, e si concede anche di proferire qualche parola e di prenderla in giro con una lettera senza ritegno, sapendo che tanto vincerà lei con la sua tenacia. Ma Alma, ovvero l'Elisabeth del passato, con la sua forza espressiva e la sua voglia di vivere e di amare inizia a torturarla, le rinfaccia la storia di una maternità non voluta, accettata in partenza per uniformarsi a tutte le altre maschere, le seduce il marito che non sembra riconoscere più chi sia veramente sua moglie, la picchia e la devasta con parole e discorsi ora perfettamente organizzati, ora frammentari e lapidari.

A me piace spiegarmelo così il film: un'attrice disillusa con molti scheletri nell'armadio vuole vincere la sua crociata contro gli altri e contro la se stessa del passato, ma la difficoltà è grande e il muro da superare è troppo alto per una persona, per una maschera. 

Persona è, e maschera rimarrà.

"Nulla". Questo rimane della perseveranza di Elisabeth. La concezione dell'inutilità del tutto e dello sforzarsi contro gli altri o contro il suo passato. E sempre "Nulla" è quello che si otterrà.

A noi spettatori rimane invece la sensazione di aver assistito a un incubo a occhi aperti, a un capolavoro totale che inquieta più di qualsiasi horror e devasta con la sua capacità di penetrare nella mente di chiunque accetti di entrare nella storia per sperimentare eccessi e recessi dell'animo umano, personalità che si confondono e odio latente che sfocia in rabbia distruttiva.

E mi piace vedere la parola "sperimentare" accanto a Bergman. Dice tutto e anche di più.

 

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