Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Una pellicola, un proiettore, fotogrammi da film d'animazione o da comiche del muto, un bosco, una ringhiera, della neve, chiodi piantati nelle mani (di Cristo?), dettagli di volti e parti di corpi di defunti e un ragazzo (Jörgen Lindström),disteso con una coperta troppo corta, guarda in macchina, mimando di toccare lo schermo e poi in controcampo, vediamo lui che osserva il volto di una donna che non compare nitido; partono i titoli di testa, inframmezzati da inquadrature di pochi fotogrammi da apparire quasi subliminali.
E' questo il folgorante incipit di 'Persona', fino ad ora il film più sperimentale di Bergman. Il plot ha per protagoniste due donne, Alma (Bibi Andersson), una giovane infermiera, la cui dottoressa responsabile (Margaretha Crook), affida l'attrice teatrale Elisabeth Vogler (Liv Ullmann, al primo film con il regista svedese) della quale apprendiamo, mediante un flashback e l'uso della voce over, che durante una recita, dopo essere scoppiata a ridere, ha deciso di non parlare più. La ragazza è titubante ma poi accetta l'incarico.
Inizia così il rapporto/incontro/scontro tra le due donne, dal bagaglio culturale, formativo e professionale diverso e dalle personalità e caratteri antitetici, una fredda ed insensibile e l'altra dolce e passionale, che la convivenza metterà a dura prova, con momenti di comunione d'intenti tra le due e di confessioni di particolari intimi relativi alla sfera privata, che ben presto però si tramuteranno in forti attriti e scontri, addirittura sul piano fisico, dopo il traferimento nella villa di proprietà della responsabile di Alma, su un'isola, che in un primo momento pareva aver dato grossi giovamenti.
'Persona' - che si riferisce alla maschera indossata dall'attore nel teatro latino - è tra i massimi esiti bergmaniani in assoluto: l'autore, a livello di temi abbandona, momentaneamente, l'aspetto religioso, sviscerato nella trilogia che precede, per focalizzarsi sugli aspetti e le caratteristiche della personalità di ciascun individuo, penetrando nel profondo dell'animo umano, grazie a una tecnica cinematografica sopraffina, spogliando la scenografia al minimo (come nei film, più volte citati, dell'altro grande scandinavo, Carl Theodor Dreyer), riducendo al contempo il numero di attori usati, passando dal ricorrente numero quattro a due, messi a confronto con l'uso di estenuanti piani-sequenza, di primi e, per la prima volta, anche di primissimi piani, che indagano i volti delle due attrici che - salvo brevi sequenze dove appaiono l'anzidetta Margaretha Crook, la dottoressa e Gunnar Björnstrand, il marito di Elisabeth - sono perennemente in scena, in un tour de force recitativo esasperante.
Bergman affronta altri argomenti cari alla sua poetica, come ad esempio la dicotomia tra apparenza e realtà (la dottoressa, rivolgendosi a Elisabeth afferma: ''Tu insegui un sogno disperato, tu vuoi essere, non sembrare di essere''), il recitare un ruolo ( l'infermiera dice all'attrice: ''Io provo una grande ammirazione per gli artisti. Credo che l'arte di recitare abbia enorme importanza nella vita, specialmente per chi non sa superare da solo le proprie difficoltà'' e ancora la dottoressa, con una punta di cinismo, si rivolge ancora ad Elisabeth dicendo: ''Ogni gesto è menzogna, ogni sguardo falsità, qual è il ruolo più difficile?'' e ''Secondo me devi continuare a recitare la tua parte fino in fondo'') e la compresenza di differenti personalità nella stessa persona, con quest'ultimo tema rappresentato visivamente dalle celebri sequenze del volto con metà viso di Bibi Andersson e l'altra metà di Liv Ullmann.
Altro elemento che si ripete nei film di Bergman è l'importanza basilare nello snodo della trama che riveste la lettura di lettere, dato che è la lettera scritta da Elisabeth alla dottoressa, in cui svela le confidenze di Alma, che fa scoppiare il conflitto insanabile tra le due, con tentativi di riavvicinamento che risulteranno vani. Tra le tante sequenze che compongono l'opera val la pena citare la confessione, narrata da Alma, avente per oggetto la sofferta e malvoluta gravidanza ed il successivo parto di Elisabeth, vista prima con la stessa in primo piano e poi, con due dissolvenze incrociate, in primissimo piano e poi inquadrando invece Alma, anch'essa con il volto che passa dal primo al primissimo piano e, alla fine, si scinde in due, con metà volto di ciascuna delle attrici.
Strepitose le prove delle intensissime Bibi Andersson e Liv Ullmann e decisamente eccezionale la fotografia in bianco e nero, dai forti contrasti chiaroscurali, di Sven Nykvist.
In poche parole, un capolavoro.
Voto: 10 (v.o. e doppiata).
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