Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
"Io non sono niente, niente". Le parole sono menzogne, i gesti smorfie e noi apparenza. E in questo presupposto il silenzio è una barricata che può difenderci da ciò che più ci può ripugnare: la falsità delle nostre espressioni. Come dice l'infermiera, le persone, forse, sarebbero migliori se si accettassero per quello che sono. E Bergman spinge i suoi dubbi fino a portare l'infermiera a chiedersi se è possibile essere un'altra persona, cioè essere due persone nello stesso momento. E forse lo siamo davvero. Se accettiamo l'idea che noi siamo di fronte agli altri la proiezione che gli altri hanno di noi, noi siamo nel nostro intimo una persona differente da quella che appariamo. E per questo l'attrice decide di togliersi la maschera, e di essere quello che è e non quello che appare di essere. La conclusione del film riporta poi il senso stesso di tutta questa lotta interiore, espressa attraverso il mezzo cinematografico, le parole in piena. Un bimbo cerca di catturare l'immagine proiettata su un telo; l'uomo cerca di appropriarsi della propria immagine, che non riesce a governare. Occorre ripetere, come in una formula magica, solo una parola: nulla.
La regia di Bergman indubbiamente in questo film raggiunge uno dei suoi apici. I primi e i primissimi piani e i dettagli sulle mani, richiamano indubbiamente lo stile di Godard. Il bianco e nero davvero espressivo, con luci fortissime che tagliano i chiari e portano in luce i contorni degli scuri. Nykvist raggiunge così una fotografia sublime. Il genio dei due messo insieme poi permette di incrociare i volti delle due protagoniste, confondendone i drammi personali, i ruoli, i caratteri e facendoci vedere quelle due persone che ne rappresentano una sola: la persona interiore, chiusa in se stessa e apparentemente silenziosa e quella esteriore, che parla e parla perché parlare fa bene. Una magia di rara bellezza.
La sua bellezza in questo film brilla fino a imprimere nella mente quei lineamenti, quella forza espressiva degli occhi e del volto.
I suoi occhi accesi anche nella dissolvenza, la compassione e l'amore, il disprezzo e la rabbia, il disgusto e la fuga: tutto solo nel volto perché privata della parola. Una prova eccezionale.
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