Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
VOTO 10/10 Persona è una delle opere più sperimentali nello stile, più coraggiose e astratte di Bergman, aperta a diverse interpretazioni, a tratti più simile a un sogno che a una narrazione vera e propria: probabilmente deve essere stata una fonte di ispirazione per David Lynch in certi suoi film come Mulholland Drive. Un'opera azzardata, dunque, originale e impervia, che richiede più di una visione per penetrare nel suo simbolismo e nella sua logica narrativa di tipo onirico e allucinatorio. Non nascondo che all'inizio il film aveva mandato in crisi anche me, e che avevo trovato diverse sequenze incomprensibili, intellettualistiche e pretenziose, alla ricerca di una "chiarezza" che il film sembrava deliberatamente negare. Tuttavia, dopo ulteriori revisioni e un discreto sforzo "esegetico", i conti sono tornati perfettamente e mi sono convinto anch'io della sua grandezza. Il film risulta molto ricco di spunti e suggestioni nella sua complessità tematica, e probabilmente il regista stesso lo ha concepito come un'opera "aperta" dove non è possibile un'interpretazione univoca. Tornano alcuni temi tipici dei film precedenti come l'angoscia di vivere in un mondo senza Dio, l'incomunicabilità fra gli esseri umani, il bisogno di trovare un senso alla propria esistenza e di restare fedeli ai propri valori, ma stavolta il motivo dominante è quello del conflitto fra la personalità più autentica e "reale" dell'individuo e la maschera che si è costretti ad indossare nel rapportarsi agli altri, conflitto che ha causato il silenzio e il successivo distacco dal mondo della protagonista, l'attrice Elisabeth. Indubbiamente, questo conflitto si accompagna a un senso di angoscia di fronte agli orrori e alla violenza del mondo contemporaneo, esemplificati dalle immagini dei monaci buddisti che si danno fuoco in mezzo alle strade, o dalla fotografia trovata da Elisabeth di alcuni ebrei (fra cui un bambino in primo piano) minacciati dai fucili nazisti. Un altro tema importante è quello della confusione dell'identità fra Elisabeth e la sua infermiera Alma, una confusione che diviene sempre maggiore nella seconda parte del film e che sfocia in una sorta di vampirismo psicologico che allude apertamente alle tensioni e ai rapporti di forza operanti all'interno della coppia (in questo caso omosessuale, anche se la componente erotica fra le due donne resta soltanto accennata). Bergman vi aggiunge alcune sequenze, come la celebre scena iniziale, di libere associazioni fra immagini, che sono dettate da una volontà di "straniamento" e di "distanziazione", e che ci ricordano che quello a cui stiamo assistendo è soltanto un film, e non la realtà. Molta parte della straordinaria riuscita del film va alle due interpreti: Liv Ullmann è eccellente nel comunicare una vasta gamma di emozioni unicamente attraverso i gesti e le espressioni del viso, mentre Bibi Andersson è ancor più ammirevole e la sua interpretazione risulta più completa in quanto il suo personaggio è quello che parla ininterrottamente per quasi tutta la durata del film (e la scena in cui riferisce verbalmente di una sua esperienza sessuale giovanile risulta intensamente erotica, almeno nella versione originale, perchè in quella italiana il dialogo è stato modificato). Grande maestria visiva nelle composizioni figurative e nell'illuminazione di Sven Nykvist, con un'insistenza ormai consueta sui primi piani dei volti, ma anche una straordinaria valorizzazione del paesaggio dell'isola baltica di Faro, dove il regista stesso si trasferì a vivere e ambientò anche altri film. In conclusione, si tratta di uno psicodramma di presa non proprio immediata e che a tratti può risultare un pò enigmatico, ma in questo caso la difficoltà del linguaggio è ripagata ampiamente dall'infinita suggestione del contenuto e dalla coraggiosa originalità della forma.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta