Regia di Florian Henckel von Donnersmarck vedi scheda film
VENEZIA 75 - CONCORSO
Dopo la pesante disfatta di un pasticcio americano intrapreso a seguito della gloria di un esordio registico premiato ed osannato con obiettivi meriti ovunque ormai quasi tre lustri orsono (il film-disastro fu The Tourist del 2010, quello del trionfo Le vite degli altri, del 2006), ritroviamo quest'anno il regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck a riprovarci con la sua terza, ambiziosa avventura cinematografica.
E l'idea di continuare a narrarci una storia che raggruppasse i tratti di un periodo storico fondamentale della travagliata storia delle due Germanie, partendo dall'inizio della Seconda Guerra Mondiale fino ad inizi anni '80 (epoca da cui iniziava la vicenda "binaria" de Le vite degli altri), pareva il modo migliore per rimettersi in sesto da parte dell'impegnato, meticoloso e perfezionista regista tedesco.
In trent'anni di drammatici eventi che hanno portato la Germania (qui intesa come parte Est, che sarebbe diventata da inizio anni '60 Repubblica Democratica Tedesca) dalla dittatura nazista all'assolutismo comunista - dunque dalla padella alla brace, per molti - seguiamo la crescita e la formazione ed educazione artistica e civica del giovane aspirante artista-pittore Kurt Bartners, tedesco di razza ariana, bello, sensibile e dotato, con dinanzi a lui tutti i presupposti per vivere una vita da protagonista privilegiato.
Da quando l'amata cugina bella e bionda come una fata lo conduceva a vedere mostre e musei d'arte, a quando, adulto e a ridosso di una Germania squassata, sezionata e sventrata in due parti, un Kurt ormai adulto imparava a scoprire la propria attitudine a creare arte con un proprio linguaggio e stile peculiari.
Il film è un vero e proprio vortice narrativo girato con una quasi maniacale calligrafica precisione di riferimenti scenografici, da rendersi prodotto adatto e consigliato alle folle - nonostante le oltre tre ore di durata complessiva che possono costituire di fatto minaccia non indifferente per la massa.
E procede, intrigante, frullando ogni storia e risvolto familiare, spesso contingente con lo spinoso panorama geopolitico circostante, fino al suo epilogo quando le forze della ragione sembrano tornare ad illuminare il raziocinio perso in due epoche di guerre, sul campo e fredde che siano state.
Se dal punto di vista narrativo il film scivola spesso in trabocchetti sensazionalistici tipici dell'intrigo sentimentale edulcorato come in una telenovela di lusso pur saldamente ancorata a basi storiche più che solide, se un merito si può davvero riconoscere all'epopea burrascosa e melodrammatica lunga come un fiume che si dipana nel corso di un trentennio focale della tormentata ed insanguinata storia tedesca, è senz'altro quello di averci restituito davvero un istruttivo scorcio pregno di ribaltamenti storico politici come meglio non avremmo potuto sperare di leggerlo nella più completa e sunteggiata delle enciclopedie.
Mettendo il dito anche sull'agghiacciante fenomeno della selezione di razza perpetrata anche a danno dei cosiddetti "ariani non omologabili" a contribuire a formare la razza perfetta.
Tutto il resto, per quanto indubbiamente filmato impeccabilmente, attraentemente e con accattivante mordente narrativo, è pura strategia acchiappa consensi che mi trova fermamente perplesso nel poter considerare altrettanto valida questa prova rispetto al citato e trionfale esordio de "Le vite degli altri", dal cui cast riprende l'affascinante e qui controverso Sebastian Koch.
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