Regia di Mamadou Dia vedi scheda film
Due ragazzi nel deserto. Una metafora del mondo che non si lascia afferrare nella sua grandezza. Lo si può solo amare per quanto è piccino.
Elogio dei limiti. Nel villaggio africano la vita si volge entro spazi ristretti: chi non è emigrato lontano rimane qui ad immaginare altri luoghi, a pensare ai parenti e gli amici che sono andati via, con la fantasia circoscritta di chi non ha mai imparato a leggere e scrivere. E troppo pochi sono i soldi di due ragazzini per poter comprare un biglietto del cinema. Come minuscolo è il buco del muro attraverso cui cercano di vedere il film proiettato all’interno della sala. Ed esiguo il tempo a loro disposizione, prima che il guardiano li scopra e li cacci via. Ma la fatica dell’irraggiungibilità è l’anima magica del gioco: ogni spicciolo conquistato con lavoretti occasionali equivale a un trofeo, che alimenta la speranza, che avvicina la vittoria finale. Non ci sarebbero storie se tutto si compiesse in un istante. Se non esistessero distanze da coprire, né divari da colmare. Essere bambini e poveri è un ottimo punto di partenza per inventarsi una favola. Più incerto e sconnesso è il cammino, più il viaggio si annuncia promettente. Questo cortometraggio senegalese inquadra la realtà che resta in attesa, al di qua dei sogni, timidamente acquattata sulla sabbia, sul terreno irregolare e cedevole di un angolo qualunque del deserto. Non è un posto in cui prendere la rincorsa o da cui spiccare un salto. Laggiù il mondo è un pugnetto di polvere che subito scivola via tra le dita. Si procede un passo alla volta, senza neppure intravvedere la meta. Ed è bello non arrivare. Soprattutto se la sosta è una momentanea rinuncia da condividere, in amicizia: un punto d’arresto da scegliere in due, sapendo che, per fortuna, è ancora lunga la strada da percorrere insieme.
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