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Mad World

Regia di Wong Chun vedi scheda film

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La recensione su Mad World

di supadany
7 stelle

Far East Film Festival 19 – Udine.

Nella società moderna è sempre più facile perdere il controllo o semplicemente lasciarsi andare ed essere di conseguenza travolti dagli eventi. In questi casi, è difficile trovare un vero supporto anche tra le mura della famiglia, mentre intorno la gente è impaurita e portata ad allontanarsi repentinamente, creando delle condizioni per cui uscire dal tunnel diventa ancora più complicato di quanto non sarebbe già normalmente.

Diretto da Wong Chun, Mad world affronta questo tema, declinato in una specifica situazione.

Dopo un anno trascorso in manicomio, Tung (Shawn Yue) torna a vivere con il padre (Eric Tsang), desideroso di riprendersi la sua vita, a cominciare da Jenny, la donna con cui aveva in programma di mettere in piedi famiglia.

Ben presto, le sue condizioni peggiorano e le cose non vanno secondo i suoi piani, con solo suo padre e un innocente bambino disposti a rimanere al suo fianco. Con questi presupposti, sarebbe difficile per chiunque non perdere l’orientamento.

 

Shawn Yue

Mad World (2016): Shawn Yue

 

La sindrome bipolare ha conosciuto diverse manifestazioni cinematografiche - tra le più recenti e popolari troviamo Il lato positivo - dimostrando di essere un argomento sentito, proprio per le difficoltà a esso correlate di vivere una vita appagante e normale. Dopotutto, cosa significa essere normali?

Il regista Wong Chun fornisce un’immagine argomentata su più fronti, mostrandone gli alti e i bassi, con una completa guarigione che appare un miraggio, entrando nello specifico di Tung, con i suoi interessi, come il lavoro, per il quale sarebbe altamente qualificato, l’amore che non può dimenticare quanto subito e il rapporto con il padre, con tanto di passato annesso a modificare la percezione della realtà.

Una montagna di frangenti che non possono essere sistemati facilmente, con il crollo verticale sempre dietro l’angolo e uno stress psicologico che scoperchia un vaso ricolmo di sensazioni negative.

Anche il riquadro più allargato propone spunti interessanti: intorno è difficile trovare aiuto, per cui al massimo si può ricevere un’assurda proposta di esorcismo, mentre gli sconosciuti che notano la difficoltà non pensano ad altro che fare una foto ricordo da postare su un social network. In aggiunta, non manca un richiamo alle istituzioni che considerano i cittadini come numeri, con protocolli formali inadeguati all’ascolto puntando dritti alla procedura senza la minima compartecipazione a un problema che, invece, avrebbe bisogno di essere gestito prima di ogni altra cosa con un delicato contatto umano.

E proprio di umanità è ricco il cast, con la ragionata, ma tutt’altro che estranea, presenza di Eric Tsang, mentre Shawn Yue è abile nel darsi un contegno per poi sottolineare con cura le reazioni principali, senza trascurare la presenza di un bambino, l’unico che può ancora permettersi di guardare con occhi diversi, appena incipienti nella conoscenza del mondo e dei suoi meccanismi.

Tutti elementi che Wong Chun gestisce tenendo il soggetto sotto controllo, moderando i toni, evitando che le escandescenze prendano il sopravvento e raggirando la retorica che, in questi casi, è sempre lì a un passo. Una sincera pagina di cinema che affronta un male di vivere con acuta sensibilità e senza orpelli deleteri.

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