Regia di Rachel Lambert vedi scheda film
Il film si impicca al clima ricattatorio di una disgregazione familiare appena abbozzata, si incarta in un ermetismo narrativo più irritante che eloquente e finisce per sgonfiare il climax di angoscia e attesa costruito nei primi 90 minuti, negli ultimi cinque minuti di infelici rivelazioni domestiche di una tara caratteriale che stentiamo a capire
Tornato a casa dopo 20 anni di assenza ed una una lunga esperienza sui pescherecci del Pacifico, Andrew dovrà fare i conti con un doloroso fatto di sangue del suo passato che ha significato la condanna a vita per il fratello ed il suo definitivo allontanamento dagli affetti familiari.
La narrazione della colpa ed i fantasmi dell'infanzia sono due soggetti d'elezione della drammaturgia cinematografica americana che le produzioni indipendenti hanno dimostrato di prediligere negli ultimi anni, volgendosi ora verso la rivalsa contro una tara familiare votata al sangue (Shotgun Stories - 2007, Blu Ruin 2013), ora verso le sue derive più o meno infarcite di retroscena esoterici (Dark Places - 2016) ora e ancora nella maturazione di una sofferta riconciliazione domestica (Manchester by the Sea - 2016). Qui la storia si ripete, con un controesodo che richiama il barbuto protagonista dal suo volontario esilio sugli imbarcaderi dell'oceano verso le brulle distese di un entroterra rurale, alla confusa ricerca di riscatto da una colpa non sua e di recupero di una identità smarrita nell'insostenibile limbo di un prolungato sradicamento sociale (Liverpool - 2008).
Tutto sin troppo chiaro, ottimamente scritto ed impeccabilmente tradotto nel minimalismo introspettivo di una messa in scena che predilige l'eloquenza delle situazioni alla ridondanza dei dialoghi, introduce le figure chiave di una simbolica mediazione emotiva (la chiromante da bar, la nipotina da strada) e alterna quei due o tre flashback di un idillio d'infanzia presto interrotto dalla tragica follia di evento delittuoso. Certo non siamo agli infimi livelli di una triste parodia da 'Buio oltre la siepe' de noantri (Ruggine - 2011), ma non ostante le ottime intenzioni, la convincente recitazione (Michael Abbott Jr., Marin Ireland e Madisen Beaty) e la credibile ambientazione, il film si impicca al clima ricattatorio di una disgregazione familiare appena abbozzata, si incarta in un ermetismo narrativo più irritante che eloquente e finisce per sgonfiare il climax di angoscia e attesa costruito nei primi 90 minuti, negli ultimi cinque minuti di infelici rivelazioni domestiche di una tara caratteriale che principia con la nidiata di coniglietti sterminata nell'infanzia e si conclude con la divisa arancione ed i ceppi ai piedi di una casa circondariale da fine pena mai. Per lavarsi la coscienza in fondo, bastano vent'anni di esilio tra i gamberi dell'oceano e trenta minuti di colloquio con una pecora nera di provincia che confessa colpe che stentiamo a capire.
Presentato al Toronto International Film Festival 2016, una nomination per Rachel Lambert al Seattle International Film Festival 2017.
E dopo vent'anni
di pesce sotto sale
il mare mi sembra
più o meno tutto uguale...
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