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Il sacrificio del cervo sacro

Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film

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La recensione su Il sacrificio del cervo sacro

di LAMPUR
4 stelle

 

Barry Keoghan

Il sacrificio del cervo sacro (2017): Barry Keoghan

 

 

Quest’Angelo sterminatore dei poveri ha fatto breccia nell’immaginario di tanti.

Probabilmente affascina l’elementare meccanicità dei dialoghi, questa algidità tracimante di tutto e tutti; l’inespressività latente, la lentezza, le carezze e gli abbracci tentati, il sesso asettico, le case spoglie, mani splendide e poi il sacro e poi l’illogico.

La scena iniziale ad esempio: operazione a cuore aperto con la telecamera fin dentro le valvole cardiache sanguinolente e pulsanti.

Quel cuore che però latita per tutto il resto del film.

 

Lanthimos si piace e si compiace. Ma solo lui.

Tutti gli altri gli stanno sulle scatole, e probabilmente anche noi spettatori.

Sul primitivo - ma sempre sulla breccia - do ut des, si intesse tutto il film, in un crescendo di dramma grottesco che propone il suo massimo exploit nella roulette russa finale.

Una chicca tale che, al confronto, i rigori tra Russia e Croazia diventano uno psicodrammone.

 

Nei personaggi di questo sacrificio comune (anche nostro intendo) non ce n’è uno che reagisca poco cinematograficamente, rispetto all’idea di cinema che Lanthimos cerca di sdoganare.

Uno che rispecchi un barlume di sana umanità, spesso sembrano essere usciti dagli studi accanto, dove si gira Westworld: automi umanizzati dal vocabolario base. Ci si muove a strappi, alludendo a metafore e simbolismi, dove servirebbe semplice coscienza, e non tragedia casareccia.

Sono tutti in linea col regista, che probabilmente è in linea con un oracolo personalizzato.

Una scena per tutte, quella dove Colin Farrell cerca di introdurre a forza un cornetto appena sfornato nella bocca del figlio inappetente, mentre la moglie - e madre - guarda senza reagire. Ci vuoi lasciare basiti, Lanthimos? Fai apparire Polifemo.. non ci stava poi così male.

Bunuel con le pecore e Lanthimos con l'inquietudine degli Dèi.

 

Richiami a destra a manca, Ifigenia stracitata, faccette kubrickiane già viste e riviste, figli che si pentono, montaggi geometrici, riprese sbieche, musiche lancinanti stile allarme di gioielleria offesa.

In questa saga che si aggrappa alla mitologia più risaputa, impazzano i segni premonitori, il Fato e i sacrifici riparatori, in un ritorno alla grezza preistoria che rende spoglio ed inutile ogni sentimento, che fa carne da macello di ogni spiraglio introspettivo, priva volutamente di spessore ogni partecipante alla sarabanda e, anzi, lo fa reagire in maniera comicamente surreale, rendendo inutile la visione a chi volesse misurarsi con le proprie reazioni di fronte ad avvenimenti teoricamente possibili, finché non si sbraga nel sovrannaturale.

 

Può capitare, a te medico, di sbagliare ed uccidere, come in questo caso, un tuo paziente, e può capitare di rendere meno disastrosa, come in questo caso, la vita dei familiari. Ma se la persona che ha perso la vita è putacaso lontano parente di qualche particolare abitante dell'Ade... hai poco da cercare rimedio...

 

 

Comunque ad una precisazione finale ci tenevo anche io: che tutti mangino gli spaghetti scotti come Martin, possiamo sfatarlo una volta per tutte, rendendo di nuovo quell’aurea di sempliciotta umanità alle oscene forchettate del testimone della volontà divina.

 

 

 

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