Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Fra thriller e horror psicologico L’uccisione del cervo sacro è un film che divide, un film “cattivo”, che Lanthimos, da buon pronipote di Euripide, offre ad un pubblico pronto a sfiduciarlo e a farlo sbranare dai cani della Tracia.
Gli accordi solenni dello Stabat mater D383: I. Iesus Christus Schwebt am Kreuzel di Franz Schubert misurano il battito cardiaco di uno sconosciuto sotto i ferri del chirurgo.
Scena a cuore aperto, i minuti passano in fretta e a posteriori impareremo a ricostruire i fatti e la scena del crimine.
Perché di questo si tratta, piccoli omicidi impuniti perpetrati in sale operatorie per mano di chirurghi al di sopra di ogni sospetto.
A meno che non intervenga un Angelo Sterminatore a pareggiare i conti.
A Cincinnati, Ohio, opulenta città del mondo industrializzato, in un ricco quartiere tranquillo, pulito, bello, della buona borghesia delle professioni, vive una vita agiata scandita da rituali inflessibili e amorevoli una famiglia/tipo composta da Steven (Colin Farrell), cardiochirurgo, sua moglie Anna (Nicole Kidman), oftalmologa e i figli adolescenti Bob (Sunny Suljic) e Kim (Raffey Cassidy)
Al sereno ménage che scorre tranquillo fra pranzi e cene in famiglia, party di rappresentanza, lezioni di canto per Kim e costosi giochi elettronici per Bob, si affiancherà ben presto Martin (Barry Keoghan), ragazzo di periferia, orfano del padre morto da qualche anno sotto i ferri di Steven.
Vittima di un incidente d’auto, il cuore dell’uomo non ha retto durante l’intervento, ahimè, fatale.
Nel dopo intervento, buttati nel secchio camice e guanti insanguinati, Steven e il collega camminano spediti lungo i corridoi asettici di un ospedale come se ne vedono pochi quanto ad abbondanza di mezzi ed efficienza. Parlano di orologi subacquei e amenità varie, guai lasciarsi coinvolgere più di tanto dal proprio lavoro.
Forse Steven aveva bevuto un drink di troppo prima dell’intervento, o forse aveva tirato tardi la sera prima con gli illustri colleghi del convegno di studi e mondanità, e poi si era dato bel tempo con la bella moglie e i loro mortuari giochini sessuali in cui lei si finge sotto anestesia totale.
Chissà, è tutto così perfetto, lucido, controllato che pensare al male sembra un’eresia.
Anzi, siamo addirittura nel campo della filantropia.
Steven ha preso sotto la sua ala protettrice Martin, i due s’incontrano di frequente, il ricco chirurgo fa regali all’adolescente di scarsi mezzi, tutto sembra all’insegna delle migliori intenzioni, ma è proprio in questo gioco straniante che il cinema di Lanthimos esercita il suo controllo glaciale, spiazzante oltre misura, addirittura provocatorio.
Infatti Martin sarà l’angelo della malattia, della vendetta e della morte.
In un sottile gioco di accerchiamento, condurrà Steven prima e ad uno ad uno i suoi familiari poi verso uno sterminio metaforico e reale, in cui una sarà la vittima sacrificale (il cervo sacro) ma tutti saranno condannati a vivere.
Fra thriller e horror psicologico L’uccisione del cervo sacro è un film che divide, un film “cattivo”, che Lanthimos, da buon pronipote di Euripide, offre ad un pubblico pronto a sfiduciarlo e a farlo sbranare dai cani della Tracia.
E’ lui stesso ad appellarsi ad Euripide:“Parlo della giustizia, dei comportamenti e nel film è questo che volevo esplorare, vedere come la gente si pone di fronte alle scelte. Nella mitologia greca il concetto di sacrificio si trova dappertutto, così come nella Bibbia. Abbiamo fatto emergere questioni radicate nella cultura occidentale fin dalle sue origini, lo si può vedere bene nell’Ifigenia di Euripide”, e come l’illustre antenato mette in scena “l’eroe vestito di stracci”, il perdente, la vittima di un oscuro Fato che incombe e punisce.
Ma attenzione, un tempo si era certi che l’agire è colpa, che l'uomo non sfugge alla colpa agendo con giustizia e verità, che l’eroico patire è il suo dovere e la sua angoscia ma la catarsi il suo riscatto.
Questo era lo schema, noto come ”apparente assurdità della sventura”:
"C'è una differenza enorme tra le civiltà che mancano di coscienza tragica e quelle la cui vita pratica è dominata da un'autoconsapevolezza ispirata a una palese coscienza tragica.
Per il nostro senso storico è come una frattura tra due epoche, quando consideriamo l'uomo nella sua coscienza tragica. Questa non è necessariamente il prodotto di un'alta civiltà, e può anzi essere primitiva: eppure solo quando un uomo conquista una tale coscienza ci sembra che apra gli occhi sul mondo…
(Karl Jaspers, Über das Tragische, 1952)
Belle parole superate dai fatti, la grandezza dell'uomo nella sconfitta è un mito di tempi più generosi.
Lanthimos rovescia lo schema, o meglio, annulla la catarsi.
“Non cerco di essere analitico, non so niente, è questo il senso del film, non ci sono risposte. Anch’io vado alla scoperta sul set. Cerco di lavorare in modo fisico, si gioca, ci si diverte. Meno riflessione e più divertimento. Passo tanto tempo con lo sceneggiatore, devo essere sicuro che la sceneggiatura funzioni alla perfezione, poi quando si gira ci sono tanti elementi inattesi che si presentano e mi dico: bene, è il destino, ma in ogni caso arrivo a destinazione e poi riparto per un’altra esplorazione”
Ricordare i surreali volteggi narrativi di Kynodontas (2009), il suo capolavoro, è d’obbligo, ma è soprattutto in Alps (2011)che si delineano gli stilemi riconoscibili nel Sacrificio del cervo sacro.
La morte e la vita, una veloce elaborazione del lutto, l’esorcizzazione dei sensi di colpa ottenuta resettando il passato e trasformando il presente in un indistinto susseguirsi di gesti e parole consunte, vita senza memoria, gestualità e dialogare artificiosi, meccanici, marionetteschi.
Il diverso e vivo, di una vita misteriosa, inquietante, luciferina, è Martin, presenza che da pacata e accattivante diventa ossessiva e minacciosa.
Elemento di disturbo, è il detonatore che innesca dinamiche incontrollabili nei personaggi e porta a galla le forze oscure e inconfessabili che covano nel profondo.
E poiché Lanthimos è abile manipolatore delle reazioni dello spettatore, nonostante i fischi a Cannes 2017 ha ottenuto il premio alla miglior sceneggiatura ex-aequo con A Beautiful Day di Lynne Ramsay.
Si è parlato di Kubrick per questo film,di Shining in particolare e di Eyes wide shut, anche se, nella ricerca un po’ peregrina che si fa ogni volta di antenati illustri, entra in gioco opportunamente Lynch, e basterebbe a candidarlo la scena iniziale di Blue Velvet, con quel verminaio che cova sotto il praticello fiorito delle casette a schiera dal tetto rosso e persiane verdi.
Lanthimos impregna l’ordito del film di sonorità improvvise simili a rantoli, lo corrobora di solenni pieni orchestrali, lo alleggerisce con le note delicate di Burn di Ellie Goulding messein bocca all’eterea Kim.
Il controllo degli spazi è perfetto, costruito con freddezza scientifica, le angolazioni di ripresa sono di esattezza matematica, le inquadrature da altezze vertiginose e le riprese di corridoi vuoti e sale ospedaliere fredde e asettiche creano un crescendo di terrore che si insinua strisciante nelle pieghe del racconto che poi racconto non è, è un immobile scenario di intramontabile tragedia, quella dell’uomo sul pianeta Terra e del sacrificio dell’innocente sull’altare di un Dio empio e perverso.
Il cervo sacro, la vittima sacrificale che lo stesso Dio pone in extremis sull’altare al posto della casta Ifigenia, fanciulla innocente offerta alla morte dalle ragioni della real politik del padre Agamennone capo potente di eserciti, fu la coda ineluttabile di una lunga catena di errori e colpe, sventure ammantate di fatalità, pene che il Fato ha sempre inflitto all’uomo sul palcoscenico dei grandi scrittori classici, dai Greci a Shakespeare, da Calderón a Racine.
Ma Lanthimos è figlio di un tempo che ha fallito ogni tentativo di trarre beneficio dalla consapevolezza della sua tragica condizione:
“Ora, infatti, avendo coscienza di essere al limite del mistero, nasce in lui quell'inquietudine che lo spingerà innanzi. Con la coscienza tragica ha inizio il movimento della storia, che non si manifesta solo in avvenimenti esteriori, ma si svolge nelle profondità stesse dell'animo umano".
(Karl Jaspers, cit.)
Edipo non abita più qui, l’uomo sbaglia sapendo di sbagliare, e regolarmente si assolve.
La farsa ha sostituito la tragedia e Lanthimos lo sa bene, pare dicesse agli attori durante le riprese: “Bisogna che si capisca che è un film comico”.
www-paoladigiuseppe.it
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