Non è un documentario, non è un noir, non è un dramma, non è un film erotico, non è la solita commedia, annuncia il trailer. E c'è da dargli assolutamente ragione, perché
My Italy è l'ennesima opera simpaticamente senza capo né coda di Bruno Colella, autore apolide del cinema italiano, capace di passare dall'erotismo di
Amami - che assembla Flavio Bucci con Moana Pozzi - a
Ladri di barzellette, senza mai prendersi minimamente sul serio e anzi mostrando un'autoironia che soltanto i napoletani hanno in misura tanto accentuata. Una capacità di prendersi in giro che si fa manifesta nel finale, quando amici e ospiti del lungometraggio a vario titolo fanno la coda per entrare alla Casa del Cinema di Villa Borghese, a Roma, per assistere alla prima del film, ricevendo domande su una trama del tutto inesistente. Metacinema, verrebbe da dire, con il regista e il suo assistente Marco Tornese che se ne vanno in giro per l'Italia cercando di rastrellare finanziamenti per un film sugli artisti contemporanei innamorati dell'Italia. Quattro artisti eccentrici come il polacco Krzysztof Bednarski (specializzato in statue cimiteriali), il danese Thorsten Kirchhoff, che ha realizzato un bagno alla Certosa di Padula, l'americano Mark Kostabi - venditore d'arte porta a porta e à la page con i suoi acquirenti, che gli garantiscono vitto a vita. Infine, il malesiano H.H. Lim, alla perenne ricerca di equilibrio e corpi femminili.
My Italy si risolve come una docu-fuction sgangherata, un hellzapoppin con molti cammei (imperdibili quelli di Lina Sastri, Piera Degli Esposti, Jerzy Stuhr, Serena Grandi, Rocco Papaleo, Nino Frassica, Alessandro Haber e Remo Remotti) e le chiose puntualissime di Achille Bonito Oliva. Un divertissement scombinato e spiazzante, continuamente giocato su un registro grottesco, ma del tutto refrattario alle regole anche minime della sintassi filmica, un pidgin di linguaggi spesso assemblati fino a creare solo un gran rumore.
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