Regia di Stephen Frears vedi scheda film
Venezia 74 – Fuori concorso.
«Signori e signore, benvenuti a bordo del volo di Stephen Frears. Allacciate le cinture, al resto ci penserà il pilota automatico».
Da qualche anno a questa parte, Stephen Frears sembra aver accantonato il fuoco sacro (Il colpo, My beautiful laundrette, Le relazioni pericolose), trasformandosi in un affidabile – per i produttori - autore di routine. Impacchetta per bene i soggetti, arriva al cuore degli argomenti che tratta e accetta ben volentieri ciò che passa il convento, come lui stesso ha affermato senza giri di parole, durante la conferenza stampa veneziana.
Questa volta si è lasciato un po’ troppo andare, diciamo pure ai minimi storici, per quanto Vittoria e Abdul sia un prodotto da compagnia, etichetta che potrebbe portare bene alla prova del botteghino ma che non può scaldare gli animi di chi ricerca visioni valide a 360°.
Londra, 1887. Arrivato dall’India per partecipare al Giubileo della regina Vittoria (Judi Dench), il giovane Abdul Karim (Ali Fazal) si trova al suo cospetto senza nemmeno rendersene conto.
Nonostante faccia di tutto per passare inosservato, come indicatogli dai responsabili di corte, la regina Vittoria ne rimane colpita, al punto da richiederne la presenza per colloqui privati. Tra i due nasce una naturale amicizia che va oltre ogni immaginazione, generando sempre più malumori all’interno della corte, pronta a qualsiasi azione pur di liberarsi dell’odiato ospite.
La dicitura presente in apertura “basato su fatti veri… per lo più”, mette subito le cose in chiaro. Tratto da Victoria & Abdul: The true story of the Queen’s closest confidant scritto da Shrabani Basu, il film di Stephen Frears è poco più di un passatempo, giostrato quasi esclusivamente sulle note della commedia, contrassegnata da un umorismo tipicamente british, che prende ogni cosa di petto, a partire da un inizio a dir poco frettoloso, anche se probabilmente è meglio così.
Chiaramente non mancano le asperità, tra i sacrifici cui è chiamata una regina (aspetto che oggi potrebbe anche far saltare i nervi), la vecchiaia che alla lunga rende sempre più soli e visti come ferri vecchi che non si vede l’ora di vedere in una bara, con il tassello principale costituito dall’avversità della corte al rapporto inscenato.
In tutti questi aspetti, Stephen Frears non sembra aver voglia alcuna di perderci il sonno, crea un vago senso dell’indignazione e ricorda quanto sia importante guardare oltre l’abito, ma poi non ha alcuna intenzione di diventare acuto e infastidire il bailamme di rito, preferendo mantenere il più vivo possibile il versante colloquiale e l’interesse orientato alla leggerezza mostrata in precedenza.
Più in generale, quando la strada diventa in discesa, prende il sopravvento un effetto trascinamento per cui l’encefalogramma registra sempre meno sussulti, per un’operazione di facciata che sembra studiata apposta per garantire il massimo risalto all’interpretazione di Judi Dench, che era già stata la regina Vittoria in La mia regina di John Madden, metodica in ogni espressione, donando un senso speciale anche alle mosse più semplici.
Insomma, Vittoria e Abdul pecca clamorosamente in personalità, tanto piacevole quando si tratta di strappare un sorriso, quanto lascivo quando la questione si fa più seria e quindi da regolare alla veloce.
Di mestiere, con una vena creativa tenuta per lo più castigata.
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