Regia di Rachid Hami vedi scheda film
Venezia 74 – Fuori concorso.
La mélodie è la classica commedia francese che preferisce le emozioni alla comicità a buon mercato, cercando di accontentare qualsiasi fascia di pubblico mediante la collocazione di elementi studiati secondo calcoli collaudati. La formula è arcinota e con ogni probabilità porterà il film diretto da Rachid Hami al successo, ma se certe procedure sono ineludibili, tanto che contestarle sarebbe un atto pleonastico, e le carinerie di rito fanno parte del pacchetto, il meccanismo pare sbilanciato.
Quando si ritrova a insegnare in una piccola realtà, Simon Daud (Kad Merad) mette in discussione la sua posizione sull’insegnamento e la rassegnazione sulla possibilità di andare oltre le semplici consegne dell’incarico, due pensieri che da tempo non riesce a togliere dalla testa.
Questo graduale cambiamento avviene grazie al talento tutto da modellare del giovane allievo Arnold (Alfred Renely), ai modi garbati del collega Farid Brahimi (Samir Guesmi) e all’allegria, a volte molesta, della sua classe, tutti aspetti che, pur dovendo scavallare alcuni ostacoli, gli regalano un’energia da troppo tempo assente ingiustificata.
Ci troviamo di fronte a una storia articolata tra rinascite e riscatti, evoluzioni che permettono di (ri)prendere la vita in mano e di trovare una forza interiore che nemmeno si sapeva di possedere.
Il centro di gravità è individuabile nel personaggio del professore interpretato da un Kad Merad insolitamente posato, un uomo indurito dall’esperienza ma pronto a fornire il suo contributo sociale. Infatti, prima di ogni altra cosa e senza fare proseliti, La mélodie cerca di suggerire il ricorso a comportamenti sostenibili, addentrandosi in una classe multietnica e indisciplinata, mostrando i lati più estroversi ma anche proponendo l’umiltà come arma per ottenere ciò che è giusto, suggerendo come qualsiasi traguardo possa diventare raggiungibile quando tutti remano nella stessa direzione e come insegnare a vivere sia più importante di ogni premio posto in palio.
Questi aspetti costituiscono una morale elementare ma altrettanto consona per gli orizzonti ricercati dalla pellicola che, per buona parte, assume una forma rispettabile e anche sufficientemente coinvolgente, sia quando la musica classica prende il sopravvento, sia quando il singolo si scioglie in un gruppo affiatato.
Di contro, l’amalgama non è costante. Alla produttività della prima parte, risponde una seconda improvvisamente sbrigativa, quasi come se si accomodasse sugli allori, semplificando ai limiti dell’annullamento alcuni snodi fondamentali, come il passaggio dalle storpiature di massa all’esecuzione perfetta destinata a rimanere tra le righe, appesantendo la portata principale.
In ogni caso, alcuni stimoli non sono vanificati, mostrare quanto sia importante provare piacere quando si fa qualcosa è un insegnamento mirabile e non c’è la benché minima presenza di umorismo rabberciato, anche se la tendenza a strafare, inserendo alcuni accenni di rilevanza trascurabile, non va affatto d’accordo con l’accelerazione della seconda fase.
Edificante come da copione, comunque rispettabile e in grado di regalare qualcosa di più a chi ricerca emozioni semplici e non troppo urlate.
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