Regia di Lorcan Finnegan vedi scheda film
“WithOut Name” non arriva d’alcuna parte, come certe opere di Poe, Lovecraft, Hodgson, Machen e Howard, che son belle di per loro, per la mera belluria che le connota.
Il bosco (ché a chiamarlo foresta ce ne vuole di ottusità o faccia tosta) senza nome (Gan Ainm in gaelico irlandese, vale a dire WithOut a Name e NameLess in inglese) pretende compagnia, la “porta” per entrarvi a farne parte è l’acqua d’ammollo filtrata dei porcini secchi per il risotto, e il testimone così passa da un letto d’ospedale a un altro.
Pensando all’eco-horror “WithOut Name” (2016), l’opera d’esordio nel lungometraggio del duo composto da Lorcan Finnegan alla regìa e Garret Shanley alla sceneggiatura, coppia artistica già al lavoro sul bellissimo corto “Foxes” (2011) e che in seguito produrrà film quali “Vivarium” (2019) e “Nocebo” (2022), vengono sùbito in mente, passando dalla carto-topografia alla zoo-etologia, quel piccolo, misconosciuto e non perfettamente riuscito, ma degno d’attenzione, folk-horror di Lorenzo Bianchini, “Oltre il Guado” (2013), e considerando invece il regno fungino, passando dai metaboliti bioattivi dell’entomo-patogeno/parassita Ophiocordyceps unilateralis alle sostanze psic(hedelic)o-neuroattive di Amanita muscaria (l’acido ibotenico e gli alcaloidi muscimolo, muscazone e bufotenina) e Psilocybe semilanceata (gli alcaloidi psilocibina e psilocina), il bio-horror di Jaco Bouwer, “Gaia” (2021). Ma la lista potrebbe continuare, fra lavori antecedenti e successivi: dall’uomo-verzura/misticanza di “Men” (Alex Garland, 2022) ai non-luoghi ameni di eremitico studio di “Ex Machina” (Alex Garland, 2015), “Archive” (Gavin Rothery, 2021) e “Archive 81” (AA.VV., 2022).
Alan McKenna (qui nel ruolo più importante della sua carriera) regge molto più che bene il semi-one-man-show, e accanto a lui la sempre peculiare Niamh Algar (“Pure”, “Raised by Wolves”, “Censor”, “the Wonder”) anche in quest’occasione si fa ricordare, mentre chiudono il cast James Browne (“Dublin Murders”), Olga Wehrly (“WildFire”) e Brendan Conroy (“the Green Knight”).
Fotografia stroboscopica di Piers McGrail (“l’Accabadora”), montaggio di Tony Cranstoun, sodale collaboratore da qui in poi del regista, e musiche di Gavin O'Brien & Neil O'Connor.
Concordo tanto con @Maurizio73 (“Nell'acuirsi di una consapevolezza del legame ancestrale e preumano che il protagonista sente di avere con l'ambiente che lo circonda, l'ipnotico richiamo di una filiazione biologica che reclama l'abdicazione di qualunque sovrastruttura razionale a favore di un abbandono incondizionato ai suoi subdoli allettamenti linfatici.”, e voto ***) quanto con @soldato_gael, il nom de plume attinente all’Éire scelto da un utente anonimo iscrittosi a FilmTv solo per votare e commentare questo film: “Il protagonista allettato [verbo transitivo coniugato nella forma passiva; NdR] dalla letizia di questa quasi palpabile, seppur etera coadiuvanza [ovvero "puttanata di collaborazione"; NdR] tra raziocinio e naturalità, decide di abbandonare seppur [ripetizione: sic!; NdR] con remore la vita sapiens, abbandonandosi [ri-ripetizione: ri-sic!; NdR] quasi lascivamente alla sua nuova realtà come se fosse Antani.”, e voto ****.
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“WithOut Name” non arriva d’alcuna parte, come certe opere di Poe, Lovecraft, Hodgson, Machen e Howard, che son belle di per loro, per la mera belluria che le connota.
* * * ½
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