Regia di Barry Jenkins vedi scheda film
Esageratamente acclamato dalla critica d'oltreoceano, Moonlight arriva in Italia con qualche mese di ritardo quando l’hype è stato ormai alimentato a dismisura e quando è già giunta la notizia della candidatura del film a ben 8 premi Oscar. Tutto ciò ha contribuito ad alimentare le aspettative che, inevitabilmente, date le promesse, finiranno per venir almeno in parte deluse al momento della visione.
Moonlight è infatti un film discreto scambiato per un quasi capolavoro da molti critici, e l’esagerato numero di candidature agli Oscar più che un reale apprezzamento nei confronti del film appare più che altro come un tentativo da parte dei soci dell’Academy di smarcarsi dalle accuse di scarsa rappresentanza di minoranze etniche all’interno della cerimonia che gli avevano colpiti durante la precedente edizione.
L’effetto di ciò è che un film non particolarmente eclatante come quest’opera seconda di Jenkins ha finito per ottenere una visibilità e un riconoscimento che non merita.
Non fosse per il fatto che è narrata dal punto di vista di una comunità di emarginati, la storia è una di quelle che si sono già viste un centinaio, un migliaio di volte. E Moonlight è un film estremamente semplice, fin troppo talvolta, fino ad arrivare a sfiorare il semplicismo, che non è mai una cosa raccomandabile in questi casi.
Non succede molto di realmente stimolante o che porti effettivamente a riflettere circa le tematiche trattate. Il film, e dispiace dirlo, è uno di quelli che, fondamentalmente, si trascinano stancamente (soprattutto nell’ultima parte, la peggiore) fino ai titoli di coda, dilatando inutilmente una storia che, probabilmente, sarebbe stata più adatta e sarebbe risultata più efficace sotto forma di cortometraggio.
Infatti, dopo una buona prima parte (che però si conclude troppo in fretta e a seguito della quale uno dei personaggi più interessanti scompare) il film va progressivamente in calando, fino ad arrivare ad un finale deludente e sottotono.
Moonlight non è un film particolarmente innovativo o coinvolgente ed anzi procede linearmente attraverso diversi cliché (SPOILER:il ragazzino emarginato vittima di bullismo, la situazione famigliare difficile con una madre dipendente dal crack, l’arresto e la trasformazione in carcere da timido ragazzino pelle e ossa a robusto e muscoloso spacciatore con tanto di collane, anelli e denti d’oro, l’amico in libertà vigliata che ha finito per redimersi e ritrovare la “retta via”, e via di questo passo FINE SPOILER).
Se poi l’intento dell’opera era mostrare come l’atteggiamento da “gangsta” carico di stereotipi e testosterone non sia spesso altro che una maschera per celare debolezze o istinti sessuali repressi, il tutto è molto meglio raccontato, ad esempio, in una serie TV come The Wire.
Certo, le interpretazioni degli attori sono spesso ottime (in testa Ali e la Harris) ma questo e la buona foto- grafia di Laxton non bastano a risollevare le sorti di un film mediamente mediocre che ottiene comunque un ottimo successo di pubblico e si guadagna due immeritati Oscar al miglior film e alla miglior sceneggiatura non originale, mentre assolutamente meritato è il premio al miglior attore non protagonista ad Ali.
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