Regia di Barry Jenkins vedi scheda film
Nonostante un abuso di metafore che ha pochi precedenti, va più alla testa che al cuore.
E' tutto sommato interessante questo Moonlight, se non altro per le scelte stilistiche che adotta, per l'intelligente regia e per qualche licenza poetica azzeccata.
Interessante l'idea di parlare di una questione razziale, cioè quella dei neri negli Usa che a tutt'oggi resta spinosa, senza mostrare il rapporto tra questi ultimi ed i bianchi (non ce n'è uno nel film). Vediamo quindi una minoranza che è in perenne conflitto con sé stessa ed impegnata in un regime di vita duro, che dà loro poche chance se non un'esistenza basata sulla continua autodifesa, sull'arrabattarsi per sopravvivere, sul mostrare sempre la faccia feroce ed i muscoli all'avversario prima che ti scanni. Il protagonista, Chiron, è un ragazzo gracile, timido, sensibile ed omosessuale, ma la società dove vive distrugge completamente la sua originaria sensibilità costringendolo a tirar fuori il suo lato violento per diventare infine uno spacciatore risoluto, insensibile e senza paura. Vediamo così il tramutarsi di Chiron, sia nel pensiero che nel corpo (ma qualcosa ancora residua nel suo sguardo, sempre).
Il finale, a suo modo romantico, in cui il protagonista finalmente si libera tirando fuori la sua anima originaria (che non è solo sua, ma è metafora del suo intero popolo) funziona bene. Purtroppo il film soffre di troppe lentezze e di una scarsa pregnanza emotiva che ne abbassano l'efficacia, facendone una pellicola che parla più alla mente che al cuore (nonostante un abuso di metafore che ha pochi precedenti).
E' vero che evita con intelligenza e gusto la retorica, la lacrima facile ed i messaggi semplici e banali che il grande pubblico tanto ama, ma questo non basta a farne un film da Oscar.
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