Regia di Barry Jenkins vedi scheda film
Esiste un certo cinema indie americano che lavora incessantemente di sottrazione per paura di debordare.
Il risultato a volte sfocia nella pochezza del materiale narrativo, nella confusione dei caratteri psicologici e in una certa retorica minimalista che finisce per raggiungere un'imbarazzante pochezza.
La regia diventa convenzionale, soffermandosi su un silenzioso viaggio in auto, su lunghi primi piani intimisti, su uno scorcio di paesaggio che dovrebbe col silenzio riuscire a scovare l'anima, come in un saggio di filosofia per studenti del primo anno.
Moonlight (2016): Alex R. Hibbert
Moonlight è un film già visto in cui la società cattiva modella individui che sviluppano sociopatie che restituiranno alla stessa la loro rabbia e il loro rancore, considerazioni sociologiche giustificazioniste e prive di complessità.
La grandezza dell'opera artistica sta nel ridurre la complessità del reale cercandone una sintesi da cui si scorga il fondamento, ma se il materiale narrativo sfugge all'autore rischia di perdersi drammaticamente nel clichè e così Moonlight diventa un tentativo mal abbozzato tra sociologia e psicologia individuale.
Moonlight (2016): Alex R. Hibbert, Mahershala Ali
Rimane comunque apprezzabile la descrizione del protagonista che nella sua travagliata formazione conserva la sua chiusura verso "l'altro", rifuggendo da ogni coinvolgimento di carattere sociale. La sua parabola esistenziale è una lunga costruzione di un sè che non apre finestre al mondo esterno e che, in questo maniacale timore di aprirsi, rinuncia perfino alla sua sessualità ripiegandosi sempre di più in un rassicurante e piacevole male di vivere.
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