Regia di Barry Jenkins vedi scheda film
la vita difficile, le storie complicate e l'amore impossibile nella Miami del nostro tempo.
MOONLIGHT: ovvero cosa c’entrano Roberto Baggio e Kurt Cobain.
Capita di andare al cinematografo e imbattersi in un film “scomodo”e capita di soffermarti a riflettere in profondità quando, nel vedere Moonlight di Barry Jenkins, avverti una serie di coincidenze con altri eventi mediatici “scomodi”, quantomeno prodotti da personaggi considerati a torto o a ragione, inadatti al loro tempo.
Roberto Baggio compie cinquanta anni e decide di celebrare il suo compleanno ad Amatrice. Nello stesso giorno ci lascia Pasquale Squitieri, un regista contestato a più riprese per le sue posizioni poco consone, lo fa a poche ore dai festeggiamenti postumi per Massimo Troisi e Kurt Cobain, poeta del malessere suicida. Del Divin Codino non sono le gesta calcistiche sopraffine a rallentare i miei pensieri, bensì il suo desiderio di raccontare la vita con i fatti concreti, le scelte estreme mai banali che hanno stravolto alcuni cliché in un mondo, quello calcistico ( e non solo), che affogano nei luoghi comuni e nelle banalità. Moonlight a suo modo è un film che racconta gli stereotipi dell’umanità nera che abita alcuni quartieri di Miami, della difficoltà di potersi esprimere liberamente, con le proprie debolezze e sincerità emotive, avendo tutti i personaggi, un legame indissolubile con il territorio, un gioco di ruolo a schema fisso.
Chiron il protagonista della storia, racconta il processo di crescita all’interno della “tribù” in cui è destinato a crescere, l’insoddisfazione e la celata inadeguatezza a un mondo violento che non gli appartiene. Per resistere, si aggrappa con ostinazione al calore consolatorio dello sprazzo di amore ricevuto in una notte di luna piena, unico bagliore consolatorio in un percorso di vita oscuro. Allo stesso modo in cui Cobain, quando appare sulla scena musicale americana, canta la distanza dai precetti con cui è stato educato, rende musicale il desiderio di abbattere i luoghi comuni e le barriere emozionali che ostacolano la libertà dell’individuo, tentando invano di placare il dolore viscerale che gli provoca il mondo esterno.
Certo Baggio Cobain Squitieri Troisi appartengono a percorsi ed epoche diverse, difficilmente assimilabili a quelle di un giovane nero omosessuale di Miami, ma la caratteristica comune dell’essere poco consoni al pensiero del proprio tempo, ne fa una cifra di lettura interessante, che ho ritrovato come coincidenza non trascurabile, in questa serata di fine febbraio. Ad avvalorare la debole tesi sostenuta in queste righe, mi giunge la notizia che Aki Kaurismaki è stato finalmente insignito di un premio importante, l’Orso d’argento per la Regia alla Berlinale: così tutto concorre a farmi pensare che un disegno occulto e perverso ha voluto raccogliere, in un girotondo ideale, alcuni degli artisti più scomodi che io abbia ammirato in questo secolo, per proiettarli negli occhi di Chiron e Kevin.
Guardo le immagini sul grande schermo e nei due protagonisti, ritrovo la stessa fatica di vivere che lo sguardo di Massimo Troisi spandeva con amara ironia. Allo stesso tempo il sorriso sprezzante e altero, alla Squitieri, aiuta Chiron a sopravvivere all’esperienza carceraria, così come l’ultimo calcio di rigore con Kevin, può valere un Mondiale alla Roberto Baggio. La storia raccontata dal giovane regista americano, a tratti autobiografica, non ha nulla del desiderio inconscio di distruzione fisica che Cobain anela. Al contrario della rock star di Seattle, il giovane nero cresciuto nei sobborghi più complicati di Miami, aspira alla rinascita e sebbene arranchi tra le avversità , non dimentica di aver visto la luna piena in riva ala mare, anche se gli è accaduto una volta sola, può bastare per tentare la risalita dagli abissi dell’oscurità ai quali era predestinato.
Lu Abusivo.
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