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Moonlight

Regia di Barry Jenkins vedi scheda film

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La recensione su Moonlight

di EightAndHalf
7 stelle

Moonlight è un film dai mille colori. Luci al neon, giallastre illuminazioni di strada, violacei corridoi onirici, e il blu del buio. Un film che utilizza il colore della pelle per discutere di qualcosa che non ha niente a che vedere con l'integrazione, con la tolleranza, o con le tematiche meno sofisticatamente queer (e più barbosamente da Academy). Moonlight di Barry Jenkins aspira invece a descrivere l'evolvere di una percezione. Stupisce che ancora oggi la ricostruzione di un punto di vista faccia gridare agli spettatori che un film è pieno di "lungaggini" e "riempitivi"; molto più riempitiva è semmai la descrizione del contesto, la linearità narrativa, quell'ansia della "ricostruzione cronologica dei fatti" che ci mantiene nelle nostre posizioni di comfort. Come se ancora desiderassimo lo spettacolo, quando è totalmente fuori luogo. In Moonlight invece spettacolo non c'è. Ci sono invece movimenti di camera, dolly misteriosi incuriositi dal mondo, e sguardi persi in un luogo totalmente generico e distante. In Moonlight interessa poco e niente, a Jenkins, la descrizione di un ghetto, e del mediocre stile di vita del protagonista, o delle minoranze che si fanno strada a tentoni per distinguersi (Hidden Figures, che concorre pure agli Oscar). In Moonlight non c'è nessun bianco: si cita a malapena un cubano, si intravede qualcuno in un ristorante, ma sono tutti uomini di colore, ragazzini di colore, che si urlano addosso "nigga" e si inventano nickname come "Little" o "Black", una sorta di invito collettivo a ricordarci costantemente quello che siamo (quello che appariamo). 

Moonlight è infatti un film che, attraverso il punto di vista del suo protagonista, descrive il lento plasmarsi del  modo di vedere il mondo del protagonista stesso a causa dell'influenza degli altri. Influenza a volte benefica, più spesso malefica. Non c'entra niente il discorso delle etichette, o della discriminazione: qui parliamo, invece, della capacità dello sguardo altrui di darci una percezione di noi stessi, e di farlo nella maniera più invadente, atroce e schiacciante. Sì, è forse molto vittimistico il personaggio del protagonista, ma il suo ruolo è necessario nell'economia del film, poiché essendo lui stesso l'oggetto delle accuse degli altri, è lui stesso ad essere la vittima del mondo, il calderone in cui si gettano le aspettative altrui, il miscuglio di percezioni estranee e di induzioni esterne. Una vittima che comunque non riusciamo mai a comprendere, che non arriviamo mai a conoscere, nei confronti della quale non ci viene ricattatoriamente imposta l'empatia; nonostante vediamo i suoi sogni, non riusciamo a capire davvero cosa è diventato, in che modo si è trasformato crescendo, e perché ha finito per diventare tutto ciò che prima detestava. Non riusciamo a capire la sua incapacità di reagire, e la sua lenta parabola autodistruttiva, che prevede l'annichilimento dell'interiore a favore dell'esteriore (il fisico che diventa scolpito, l'apparenza del trapper, la musica dell'auto). "Little" "black" Chiron è un personaggio che viene indotto dalla vita a diventare semplicemente un colore, un aspetto esteriore, un ricettacolo di malessere e di frustrazioni.

Commovente è infatti il modo in cui, anche una volta cresciuto, vediamo l'ingenuità dell'attrazione fisica che lui prova nei confronti dell'uomo della sua vita (da un out of focus, Kevin diventa un volto simulacrale, avvolto dal fumo atmosferico di una sigaretta). E commovente è il "ritorno al mare", al blu, alla possibilità di cambiare colore. E commovente è il disorientamento del sonoro, sia per quanto riguarda il suono delle parole che tardano ad arrivare durante un qualunque dialogo e si piegano ad un fuori sincrono di grande impatto emotivo, sia per quanto riguarda la musica, un mash up imprevedibile di rap, classica, hip pop e cantautorato.

 

Con la sua fotografia sgargiante, le sue vibranti carrellate e il suo finale inaspettato (soprattutto perché giunge dopo due ore che non si sentono affatto), Moonlight è la battaglia disperata del colore di un antieroe destinato alla monocromia.

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