Regia di Terrence Malick vedi scheda film
Il nuovo film di Terrence Malick, suo nono lungometraggio narrativo, sarebbe dovuto uscire nelle nostre sale il 9 Aprile, ma vista la situazione di emergenza in cui ci troviamo l'uscita è probabilmente destinata a slittare, così ho deciso di ricorrere alle vie "alternative" poichè avevo comunque molto interesse nel vederlo. Quasi tutti i recensori dal festival di Cannes hanno detto che si tratta di un ritorno alla forma migliore del regista dopo un paio di opere solo parzialmente risolte, e in effetti si tratta di un film di forte spessore tematico dove ritorna la Fede che può portare al martirio attraverso la storia del beato Franz Jagerstatter, contadino austriaco che si rifiutò di arruolarsi nell'esercito durante la Seconda Guerra mondiale e fu condannato a morte come disertore. I temi religiosi sono fortemente radicati nell'universo del regista texano, tanto da non lasciare dubbi sulla sincerità della sua ispirazione, ma il film può contare anche su meriti formali non indifferenti, su una resa visiva spesso di prepotente bellezza che cattura l'occhio con composizioni figurative che valorizzano l'ambientazione sulle montagne e poi soprattutto quella nel carcere, con il punto più alto che si tocca, a mio avviso, nella scena in cui la moglie e l'avvocato cercano di dissuadere Franz ormai vicino alla condanna definitiva, girata con obiettivi grandangolari che distorcono lo sfondo, come in altre sequenze del film. "La vita nascosta" è un'opera coraggiosa, assolutamente non commerciale, che recupera una dimensione narrativa più evidente rispetto alle pellicole precedenti anche se, poi, il film non sfugge ad alcune delle consuetudini tipiche di Malick come l'abbondante ricorso alla voce fuori campo, tanto che molte scene sono commentate dalle lettere che Franz scambia con la moglie e dalle risposte di lei o da altre riflessioni della voce off, mentre le scene dialogate sono relativamente poche. E' un film che ha dalla sua molti pregi, uno stile puramente cinematografico e anti-teatrale fino al midollo, probabilmente troppo lungo nelle sue tre ore di durata, con vari passaggi che avrebbero potuto anche essere eliminati per una migliore fruizione dello spettatore "medio". Temo infatti che il film possa essere rifiutato come un "mattone" dal pubblico meno preparato sia a causa dei temi nobili ed elevati che della forma assai esigente, e il fiasco che ha avuto nelle sale americane purtroppo avvalora questa tesi. E' un peccato perché si tratta di un cinema elitario ma affascinante, che in questo caso riesce a trasmettere con efficacia il fervore spirituale del personaggio, in maniera tanto più convincente di quanto riuscirebbe a fare una delle solite fiction televisive, a patto di qualche lungaggine e di qualche semplificazione nella sceneggiatura. Buona l'interpretazione di August Diehl nel ruolo di Jagerstatter, per quanto non abbia spesso la possibilità di "recitare" in senso tradizionale, e lo stesso si può dire di Valerie Pachner nel ruolo della moglie Franziska, comunque espressiva e anche intensa; fra i caratteristi ci sono anche attori famosi come Franz Rogowski, Bruno Ganz e Tobias Moretti, comunque in partecipazioni molto veloci. Non mi ha convinto molto l'uso del bilinguismo inglese/tedesco che viene fatto nel film, ma immagino che per Malick girarlo tutto in tedesco fosse una soluzione probabilmente impraticabile. Non siamo ai livelli di "Tree of life" e "La sottile linea rossa", ma resta un film da vedere e meditare.
voto 8/10
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